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Una storia spezzina

Ciassa Brin come Brescello

di Alberto Scaramuccia

La falce e il martello nella fontana di Basaldella

La fontana de-a ciassa Brin, questa statua stele bitorzoluta, quante volte i miei figli ci hanno giocato intorno. Abitavamo lì vicino, svolgevamo attività nel quartiere, era normale andare nel luogo d’incontro del popolo umbertino. Perché la piazza è da sempre popolare: non per schieramento partitico, ma per la sua formazione sociale che è il dato politico primigenio. Comunisti, democristiani, socialisti (ordine alfabetico), intorno agli zampilli, sopite le passioni elettorali, creavano il dialogo da cui sprizzava fuori la sintesi.
Roba d’altri tempi; avevamo i cavei lunghi. Non m’addentro in considerazioni sull’attualità.
Non sembri esagerato il paragone con le statue stele: anche quelle indicavano dove la comunità si riuniva. Altro punto di contatto: quelle non si sa a che cosa servissero, chiedi un po’ oggi che significato hanno gli oblò che lungo la fontana s’inerpicano verso l’alto. Per saperlo, devi andare al Tirreno di lunedì 7 maggio 1956 che, descrivendo l’inaugurazione avvenuta il giorno prima, dice che l’autore Basaldella volle rappresentare le mille voci del mare.
Quando la frequentavo, era leggenda che in una formella stesse il simbolo della riscossa sociale, una falce e martello incrociati. Io indagavo per ore (quasi) per individuare la sacra icona profana, ma la patina dell’inquinamento aveva cancellato tutto nell’unica sfumatura del grigio sporco. Solo dopo un’accurata opera di pulizia, sabato 30 ottobre 2004 la cittadinanza poté riammirare (era l’ora!) la fontana nell’antico splendore. Vide così di nuovo la falce e martello. Stavano, e stanno tuttora, disegnati in un oblò provocatoriamente posto proprio davanti all’ingresso de-a giesa. Alla cerimonia con cui si celebrò il ripristino, Antoni Varese, sindaco del ’56, ricordò come all’inaugurazione avesse bevuto un bicchiere riempito con l’acqua della fontana per mostrare che non era avvelenata come invece sosteneva una voce alimentata (sono le parole di Varese) dal parroco del tempo.
Oggi queste storie sembrano una favola. Quanta acqua, anche per la fontana, è passata da allora, dai tempi di don Camillo e Peppone, film così antichi che continuano a farli vedere da tanto che si mantiene la loro carica comica. A quel tempo funzionava così: una risata stemperava la passione politica e al cinema si faceva quasi a botte per vedere quelle pellicole, tutti insieme a leticarsi il posto a sedere. Pubblico filo yankee e spettatori pro Armata Rossa, tutti nel film si riconoscevano, consapevoli però che pure nel convincimento più radicato c’è la contraddizione da cui può zampillare il sorriso.