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Una storia spezzina

Cent’anni fa un Capodanno senza sorrisi e topi d’appartamento

Il ritratto malinconico di una città in guerra, i caduti al fronte e la storia di Giuseppe Caselli. Così il cenone di fine anno diventava un'immensa mensa dei poveri.

Viale Savoia

Quello di 100 anni fa fu il primo vero capodanno di guerra. Non che del conflitto non ci si fosse accorti nel San Silvestro precedente, ma in quel fine 1915 la gente era immersa nel rombo incessante del cannone, senza dire delle terrificanti notizie che venivano da ogni fronte contribuendo a sballottare ancor più un’opinione pubblica insicura del suo futuro. La brutta aria che tira si vede più che bene negli articoli dei giornali cittadini il cui prezzo addirittura raddoppia (da 5 a 10 citi) per l’aumento della materia prima. Quelle pagine negli anni precedenti erano sempre uguali: per Capodanno gli Spezzini non facevano altro che cogliere fiori dalle aiuole intorno al cavallo di Garibaldi e non poche case erano visitate da chi, invece di impegnarsi nei cotillons dei veglioni, preferiva dedicarsi all’argenteria altrui.

La facile conclusione era che chi aveva la tasca vuota in qualche modo doveva far colpo sulla fantela e chi, invece, aveva minori problemi con il borsellino, andava volentieri fuori di casa. L’ultimo dell’anno di 100 anni fa è proprio diverso. Si sa di un solo furto, ma compiuto in modo tanto malaccorto che gli autori del misfatto sono subito presi. La guerra domina ogni riga e si vede che non si ha voglia di augurarsi buon anno tanta è la consapevolezza che la brutta avventura che corre l’Italia non è destinata a breve vita. Inoltre, le notizie dai fronti confermano la sensazione: fra i caduti ci sono anche degli Spezzini e non pochi sono prigionieri nei campi di concentramento. Di questi il più famoso
certo è Giuseppe Caselli. Figlio di un grande giornalista e futuro grande autore di marine in cui la spuma delle onde sembra uscire fuori dalla cornice, sta a Mauthausen, un lager destinato anch’esso alla fama, ma di carattere ben diverso. L’atmosfera è quella e le uniche feste che si tengono, sono per raccogliere risorse di cui beneficino i militari impegnati nelle trincee.

In questa situazione risalta soltanto il grande pranzo che per Natale la Pubblica Assistenza dà per i poveri. Il loro numero, seicento, impressiona ed è il triste segnale di una condizione di difficoltà in cui tutto il territorio versa: per la mancanza di lavoro, innanzitutto, ma anche per l’impennata verso l’alto che ha subito il costo della vita che condanna all’indigenza anche quanti fino a quel momento erano riusciti in qualche modo a vivacchiare. Sono le conseguenze del conflitto che con i suoi effetti indotti colpisce anche chi non indossa l’uniforme, anche chi non vive in zona di guerra. In questo panorama, l’unica notizia non drammatica è che domenica 2 gennaio è inaugurato il campanile del Santuario di Nostra Signora della Scorza che, come noto, ne era nata priva. Dopo la cerimonia, seguono i Santi Esercizi Spirituali, ma s’informano i lettori che fino a metà gennaio si svolgeranno “funzioni propiziatorie per la vittoria delle nostre armi”.
Dalla guerra proprio non si riesce ad uscire.

PS: i (tanti) impegni familiari e qualche (minimo) malannuccio mi convincono a una pausa sabbatica che pregiudica la continuità, non la presenza. Felice 2016 a tutti noi, tempi permettendo!

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