- Una carta linguistica d’Italia, ben nota agli addetti ai lavori, mostra il Bel Paese nettamente diviso in due parti,
Per indicare ciò che sta sopra al collo, sotto Roma si usa la parola capo, filiazione diretta del praticamente quasi omonimo latino. Invece, al di sopra di quello spartiacque si adopera il vocabolo testa. Pure questo termine proviene dalla lingua dei Padri che, però, lo usavano con un significato completamente differente da quello anatomico che gli attribuiamo oggi.
Testa era il coperchio di terracotta della pentola: standone alla sommità, diventò automatico che prima o poi venisse a designare la parte pensante di ogni essere animale. Fra l’altro, dalla testa-coperchio usata rovesciata per effettuare esperimenti e prove chimiche, deriva il termine inglese test per indicare gli esami clinici.
Bene, quelle teste (di coccio) furono ben presto volte al maschile per indicare dei contenitori circolari con il bordo leggermente rialzato. Opportunamente impilati in serie ed infuocati alla fiamma, magari tenuti insieme da una molla da camino, raggrumano la pastella di acqua, farina e sale che vi è contenuta dentro che, quasi per prodigio alchemico, diventa testarolo, cioè il prodotto dei testi: un altro di quei piatti nobili di questa terra che mai ebbe da scialacquare.
Di ogni landa la cucina è specchio della sua produzione alimentare ed anche indicatore del suo stato economico, ma, l’abbiamo già visto, può anche diventare una rappresentazione del territorio, una metafora che rivela il suo stato.
Bene, il testarolo, al pari del suo parente prossimo panigaccio, è sempre piacevole assaporare con il pesto, ma alletta anche gustarlo co-a sausissa e pure con gli affettati o lo stracchino. Questi sono ingredienti diversissimi fra loro, eppure senza alcuna difficoltà il testarolo lega alla grande con ognuno di essi perché la sua proprietà è di amalgamarsi con ciò che gli sta accanto.
E forse proprio in questo consiste il valore aggiunto del testarolo che non a caso è piatto appetito assai dalla gente di Sprugolandia. Magari vedono nella capacità del testarolo di unirsi a companatici diversi, il simbolo della razza che sorse dall’incontro degli indigeni con barbari di tante lingue diverse.
A ben vedere è proprio in questa sua duttilità che viene spontaneo ritrovare una caratteristica precipua dell’universo sprugolotto, la proprietà di sapersi adattare alle diverse circostanze per reggere alla bene e meglio anche negli anni in cui le vacche erano più magre dell’usuale, grazie alla capacità di fondersi anche con chi a prima vista sembra lontano dai suoi sapori.