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Sprugoleria

I bagni nel Lagora nella malinconica Spezia d’antan

di BERT BAGARRE

La Madonna del Lagora di Fossati

Novant’anni fa il Secolo, segno che anche allora si cercava il tempo perduto, si chiede com’era la vita ne-a vecia Speza e ricorda. Quando il mattino era ancora lontano gli ufficialetti birichini s’arrampicavano a bordo per la biscaglina di poppa e la “comandata” girava per verdure e servette mattiniere. Mentre i sonnambuli bevevano il caffè al bar del corso che era aperto tutta la notte, le “liquorerie” aprivano i battenti e le erbivendole in piazza del mercato apparecchiavano i banchi. Avevano in pancia solo un po’ di pane fresco che bastava loro fino al mezzodì. Ma c’erano anche i marinai che alle quattro del mattino venivano mandati da Eugenio Grandville, famoso comandante di squadra, a “fare lavanda personale” nel Lagora rimanendo a torso nudo anche a dicembre. La vita cominciava, dice l’articolo, giusto a quell’ora lì, quando il comune mortale fa i sogni più belli.

Tuttavia, con il progresso che sempre sconvolge le abitudini del piccolo mondo antico e se lo porta via, pian pianino gli orari si spostarono abbastanza in avanti ed il cambiamento delle lancette modificò anche le abitudini alimentari e non.
La piazza ormai apre alle sette e le verduraie, dopo aver preso il cioccolato con i pasticcini prima di iniziare la giornata, si fanno il vermuttino con il krapfen alle undici. Ormai sono commercianti raffinate: i ruvidi calzettoni di lanaccia sono diventati calze di seta che si portano sulle scarpe di copale che hanno preso il posto degli scomodi zoccoli tagliati nel legno.

Novant’anni fa c’è rimpianto per un mondo di cui resta il quadro solo nella memoria dei più anziani. Il particolare forse più toccante, è quello del “barbitonsore classico” da cui andava sempre “il poeta Ubaldo Mazzini, tradizionalista per eccellenza” che non cambiava mai il rasoio cui affidava la propria gola. Il motivo dell’affetto risiedeva nelle piccole cose, come il bacino con l’incavo per il collo che quel figaro adoperava per adagiarvi il capo del cliente. Non bastasse, per tendere al meglio la pelle e poterla tosare come Dio comanda sì da non far restare il benché minimo peluzzo, adoperava ancora la palla per enfiare le gote.

Quando esce l’articolo, l’Ubaldo se n’è già andato da quattro anni, e a vecia Spezia sta scomparendo mentre gli antichi bar chiudono i battenti. Della loro attività restano solo ricordi spezzettati, di difficile inquadratura ché s’è perso il filo conduttore. Tutto è finito, tutto se n’è andato e l’articolo del Secolo saluta la Spezia d’antan chiedendosi nostalgico “chi canterà la tua malinconia?”. Ma noi oggi siamo capaci di ritrovarlo il tempo perduto?