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Sprugoleria

Ciassa Brin l’è terra de portenti

di Bert Bagarre

La chiesa di Piazza Brin senza i campanili

Quando Cupido incoccia la freccia, si deve stare attenti perché non si sa mai come può finire: il dardo fatale e infallibile accende dentro una passione capace di conseguenze impensabili. Era un bel mercoledì quel 25 marzo di 82 anni fa. In ciassa Brin spirava un’aria addolcita dopo i rigori invernali e un bel sole scaldava gli ultimi freddi rimasti nelle ossa. Profittando del clima primaverile, Mario (nome inventato per la privacy) uscì dalla sua casa di via Roma strimpellando sulle stampelle che lo sorreggevano dalla nascita: colpito dalla polio, viveva così da sempre.

Le corse nei prati dietro al pallone o alle trecce di una fantela, le conosceva solo per i racconti sentiti dalle panchine vicine. Fra sospiri e spasimi poi tornava a casa per il desinare apparecchiatogli dall’anziana madre che sempre pregava il buon Dio per un po’ di felicità anche per il figliolo. Forse le sue implorazioni fecero il loro effetto proprio quella mattina. Mentre era lì a rimuginare sul suo triste destino, a Mario comparve all’improvviso un’apparizione che neanche la visione della Madonna gli avrebbe fatto quell’effetto, e già che lui era pio assai. Proprio dal portone dirimpetto alla panchina, vide uscire tutto d’un tratto una femmina che così femmina non la vedevi neppure nelle locandine dei film americani.

Bionda, alta, flessuosa, con tutte le sue cose al loro posto e una bocca che diceva voluttà, chiuso il portone, se ne veniva verso di lui, ancheggiando su alte zeppe che rinchiudevano un paio di calze velate che, lei si girò un attimo, avevano dietro una riga nera e diritta che la slanciava ancor più. Che cosa biascicò Mario fra sé e sé, nessuno lo sa, ma chi c’era stupefatto lo vide gettare a terra le grucce e buttarsi a capofitto verso la bella sconosciuta. Lei, impaurita dallo scatto subitaneo, alzò al cielo un grido così stridulo che tutte le rondini della piazza s’alzarono in volo spaventate. L’urlo fece accorrere prontamente il marito che, capita la situazione, si buttò su Mario.

Lui, vista la mala parata, accantonò il desiderio di amore ed invertì il senso di marcia per correre disperato fra le poche
macchine e i tanti carretti che affollavano Corso Cavour per sfuggire all’ira dell’omone. Finita la prima gimcana della sua vita, se ne tornò a casa ansante. La madre, disperata e felice, gli disse Maio, sta’ bravo, fa l’omo, ottenendo in risposta O ma’, ma l’è quel che a vogio fae. Il giornale del giorno seguente riporta la storia senza però dire come finì la storia né come fu possibile un tale miracolo. Ma noi a lo savemo ben: ciassa Brin l’è terra de portenti.