- So di ripetere una cosa che già tutti sanno se dico che avvertire un sapore sopito da tempo, quale può essere, ad esempio, l’aroma dei biscotti che la nonna preparava per la colazione, suscita una ridda di emozioni che più del lettino di uno psicanalista, eccita la memoria inducendola a frugare nell’intimo del proprio trascorso.
Anche a me talvolta succede che un sapore percepito anche solo casualmente, mi riporti a quando bambino d’estate ero portato in campagna. Andavamo a Bastia, sopra Licciana, in piena Lunigiana. Lì la pattona è di casa.
Trovandola buona assai, me ne divoravo quantità industriali di quella pattona, sempre gustata a cominciare fin dal nostro primo incontro ed immancabilmente appetita. Già dalla prima volta me la porsero, lo ricordo ancora con piacere, che era appena uscita dal forno. Lì per lì, da come era stata confezionata, mi apparve quasi che fosse un sandwich in cui però le fette di pane erano state sostituite da una coppia di ampie foglie di castagno: nell’avello affocato erano entrate verdi e croccanti, ma dal rogo erano uscite di una bella tinta bruciacchiata.
Foglie?, c’è chi si domanderà stupito. Il fatto è che una volta si condiva con un filo d’olio, materia preziosa, per cui si studiavano tutti i possibili accorgimenti per risparmiare sul lubrificante che non era sempre disponibile e comunque troppo prezioso per scialacquarlo quando in qualche modo lo si poteva risparmiare.
La pattona è la figlia di una terra avara che, dando poco, obbligava a non trascurare alcuna risorsa di quelle poche distribuite ai suoi figli da una natura non sempre generosa. Era prodiga solo nel regalare castagne che si mangiavano rostite o lessate, ma si mangiavano anche così secche che scricchiolavano mentre erano tritate dai denti. Poi, con quelle che non erano consumate si produceva una farina che da tutti era benedetta: tanto perché era dolce, quanto perché colmava la carenza di quella di altra origine.
Con quella farina ci si faceva di tutto, anche gli gnocchi che mangiati al pesto sono leccornia con cui mi leccavo i baffi già prima che mi nascesse la prima peluria sotto le nari.
Ma era la pattona soprattutto ad essere mangiare tipico dei monti che cingono la landa che Sprugola bagna: cibo spesso necessario per riempire lo stomaco, specie in quei momenti più duri quando diventava alimento indispensabile per sopravvivere.
Per questo, non fu un caso se i partigiani ai monti alla pattona affibbiarono il meritato soprannome di “santa” che senza quell’indispensabile apporto calorico, la loro resistenza sarebbe stata molto più difficile a combattersi.