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Il "Gianni Schicchi" di Puccini, opera universale e imperitura

Al Civico platea gremita per un'esibizione di classe, una commedia impeccabile, coinvolgente, esilarante che esalta il personaggio salvato dalle fiamme dell'Inferno danteso.

Platea gremita, silenzio in sala: entra il direttore, Giovanni Di Stefano, e dà all’orchestra l’attacco per l’overtoure, breve preludio che anticipa all’ascoltatore i due temi dell’opera, quello del lutto e quello della meschinità, mitigati dall’atmosfera burlesca e dal tema della beffa. Il sipario si apre su una scenografia minimale e contemporanea, all’interno della quale sono posti in risalto un divanetto rosso e un grosso letto a baldacchino, che si rivelerà nel corso della commedia un grande espediente scenico. A bordo del letto, in una posa innaturale e scomposta, Buoso Donati: morto.

L’ingresso dei parenti segna l’effettivo inizio della commedia, un’ora di vorticoso e divertente dinamismo.
La famiglia Donati, strutturata da Puccini come elemento fondamentale malgrado la predominanza dello Schicchi, si presenta come un coro da camera coeso e uniforme, di studiata composizione, che riesce a tenere viva e accesa l’azione scenica comportandosi da variegato sfondo di un quadro inequivocabilmente comico: sulla base del libretto, grazie a mirate scelte costumistiche e fisionomiche, la regia ha saputo caratterizzare al meglio ogni singolo personaggio: troviamo, in particolare, un Simone (Alessandro Martinello) dal timbro deciso e dalla fisicità divertente ed efficace e una Zita (o “La Vecchia”, Fulvia Bertoli) che riesce ad assumere la qualità di leader della famiglia grazie ad un’ espressività risoluta e ad un’ottima presenza scenica. Tutti i personaggi si muovono con consapevolezza e in perfetto sincronismo: trovano le risate sincere del pubblico le scene della ricerca e della lettura del testamento.

E poi, finalmente, l’ingresso di Schicchi. Ma, prima di soffermarci su questo personaggio, due parole sulla Coppia, Lauretta (Claudia Muntean) e Rinuccio (Norbert Nagy): la presenza scenica si è rivelata forse un po’ statica, specialmente per quanto riguarda Rinuccio, ma hanno comunque rappresentato una coppia innamorata e tenera e con le due romanze, le uniche della commedia e i brani per giunta più famosi, “Firenze è come un albero fiorito” (Rinuccio) e “Oh! Mio babbino caro” (Lauretta), hanno saputo affascinare il pubblico che, anzi, quasi non è riuscito a trattenersi dall’applaudire – specialmente sulla seconda aria, in cui l’applauso è partito prima delle ultime battute.

Veniamo ora al Personaggio: Gianni Schicchi, scaltro e risoluto esponente della “gente nova”, si dimostra senza scrupoli, animato da una brillante intelligenza, e rappresenta il contrasto tra una classe aristocratica ottocentesca in decadenza e un’ascendente borghesia imprenditoriale, abile e competitiva. Il baritono Stefano Antonucci, cantante di incredibile eleganza e di rilievo internazionale, ha saputo regalarci un Gianni Schicchi impeccabile, coinvolgente, esilarante: una spiccata abilità tecnica nel passaggio da una all’altra voce, la sua e quella del Donati, una fisicità e una presenza scenica efficaci ed equilibrate, una comicità sana e divertente. Il personaggio domina, con la sua individualità, l’intera scena e i personaggi. Lo Schicchi Pucciniano, salvato dalle fiamme dell’Inferno dantesco, è in realtà un personaggio altruista, che rende ad ogni parente la sua parte di eredità ma comunque risulta vincente sulla falsità, l’ipocrisia e la meschinità dei Donati e permette il matrimonio dei due giovani. Molto validi sono stati anche i personaggi più marginali, i testimoni e, in particolare, Maestro Spinelloccio (il medico) e Messer Amantio di Nicolao (il notaro), entrambi interpretati da Riccardo Montemezzi, ulteriore tocco di comicità al tutto della commedia.

Personaggio, però, principale dell’opera, è inutile dirlo, è stata l’orchestra con il suo direttore: nascosti nella buca del tatro, i musicisti del Puccini si sono rivelati ancora una volta precisi, puntuali, espressivi. Hanno saputo affrontare questa parte, complessa e composita di atmosfere diverse e contrastanti, in maniera lineare e brillante: l’effetto finale è stato quello di un tutto organico e omogeneo di ochestra e cantanti, di un’unica massa musicale dall’espressività prorompente.
Con questa rappresentazione il regista, Luca Ferraris, ha voluto “colmare la distanza che allontana lo spettatore moderno dall’opera lirica” tramite una trasformazione temporale, tramite la trasposizione della vicenda (medievale) in tempi contemporanei: troviamo in scena, infatti, smartphone e ventilatori, abiti decisamente casual e attuali. Già nella sua concezione pucciniana l’opera rappresentava una classica commedia dell’arte con taglio, però, moderno, la rielaborazione del vecchio in funzione del nuovo. La trasposizione che abbiamo visto venerdì sera, non fa altro che dimostrarci l’universalità di quest’ opera e la valenza che essa mantiene al di là dei tempi. Come fu, del resto, per la prima esecuzione del Trittico, anche questa volta questo capolavoro è riuscito ad ottenere un grande successo, avvalendosi, inoltre, del grande valore didattico che ha avuto per i suoi esecutori.

“[…] come l’altro che là sen va, sostenne,
per guadagnar la donna de la torma,
falsificare in sé Buoso Donati,
testando e dando al testamento norma.”
Dante, Inferno canto XXX – vv. 42- 45