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Sprugoleria

Sprugoleria

La gallina d’oro del castello di Coderone

di Bert Bagarre

Il castello di Coderone

Nei rilievi che al tramonto cingono Sprugolandia troneggia un castello massiccio dall’aspetto anche un po’ terrificante ancorché sia diruto ed accentuato in quell’impressione dagli scavi effettuati sullo scoglio che lo regge per esportarne la pietra e farne a valle case e palazzi.
Giace il maniero nel vallone de Giassa e là spicca ancora, sentinella che vigila se taluno voglia anche ai nostri giorni attentare al suo signore.
È il castello di Coderone, nome antico che risale alla metà del Duecento quando Sprugolandia era di là da venire e gli antenati si raccoglievano prudenti sulle alture per assicurarsi adeguata protezione e meglio difendersi se a qualcuno, malintenzionato e troppo spavaldo, fosse saltato il ghiribizzo di insidiare la loro sicurezza.
Quando poi i tempi si fecero diversi e le situazioni cambiarono, il vecchio castro perse la funzione di difesa e protezione e, a poco a poco, la gente lasciò per il piano quel piccolo nucleo abitato che aveva anche una chiesetta. Così, in abbastanza poco tempo, l’antica fortezza si ritrovò popolata solo da rampicanti invasivi ed erbe seminate da vento e uccelli. Nonostante tutto, mantenne la pristina fierezza e lo svettare solitaria su un cocuzzolo di roccia in mezzo ad una valle scoscesa, accrebbe il senso di paura che suscitava e lo circondò un senso progressivo di mistero.
Tutte queste impressioni che faceva nascere, fecero anche sorgere la leggenda che fra i conci diroccati gli abitanti avessero celato una gallina d’oro che aveva covato uova dell’identico nobile metallo. Ognuno sapeva che d’invenzione soltanto si trattava, ma, siccome il provare a cercare non costava nulla, in molti esplorarono il castello per quanto le condizioni lo permettevano. Fra quei tanti pur’io nella stagione giovane mi armai di bastone per frugare allontanando con le eventuali minacce anche i rami puntuti dei rovi. Ci passai due e forse anche tre domeniche, ma, lo confesso, più di qualche ramarro o di qualche pelle lasciata lì da bisce al tempo della muta, non riuscii a trovare.
Meglio dire allora perché quel nome Coderone. Viene da parola ormai dimenticata, cote, che indica sia la pietra, e il Castello era eretto appunto sulla roccia, che il sasso su cui si affila la lama.
Oggi dici cote e chi ti capisce, ma anche nell’idioma sprugolino la parola è ignorata ché per fare il filo al coltello o al rasoio, si usava a molela, così con una ele sola.
Terra di spremuta di ulive, che cosa meglio della mola, la macina che sgranocchia con la polpa magari anche il nocciolo di quei frutti, per indicare il sasso che riesce a domare il ferro?