LA REDAZIONE
Scrivici
PUBBLICITÀ
Richiedi contatto

Sprugoleria

Sprugoleria

Gli anni ruggenti del ciclismo, anche per i fanti de Spèsa

di Bert Bagarre

Il passaggio della borraccia tra Coppi e Bartali

Na vota pei fanti di Sprugolandia la bici era un sogno proibito così come qualche anno dopo lo sarebbe stata Marilyn Monroe. Ma allora le due ruote popolavano i loro sogni imberbi anche se spesso le tasche tinte di verde dei genitori impedivano che la bella visione notturna si facesse realtà.
Unica possibilità d’incontro con il velocipede era qualche domenica in cui andavamo ai giardinetti dove pure allora s’affittavano bici di ogni dimensione. Con esse si compivano giri spericolati attorno alla Pinetina. Non si chiamava ancora Centro Allende ma là i più grandi si cimentavano in cha cha cha o lenti balli della mattonella, mentre i fanteti giravano attorno alla palazzina il più vorticosamente possibile: per dare mostra al mondo della propria consumata abilità e perché il tassametro del biciclettaio scattava verso il limite massimo orario fissato dal borsellino di mamma papà. Conseguenza erano le frequenti cadute che sbucciavano la vernice del parafango e le ginocchia che l’acqua miracolosa della fontanella della Pinetina sanava meglio di un emostatico.
Così diverso da oggi: la bici è mountain bike super accessoriata, con gommoni che neppure un carro armato monta cosi spessi e cambi che con un giro alla manopola scali perfino le pareti di casa.
Ma quegli anni là era inevitabile che la bici fosse lo sport più popolare con Coppi e Bartali che dividevano il Paese in due per una rivalità tinta anche dai colori di Peppone e don Camillo.
Aloa, i caussòn lunghi li avevo solo del pigiama, er Zìo passava di qua più spesso di oggi e l’itinerario era sempre uguale. Arrivavano da viale Italia e una siepe trepidante lungo il viale Amendola aspettava ansiosa i girini che se la prendevano comoda e transitavano in gruppo compatto. Dalla curva del Circolo Ufficiali c’era sempre qualche spiritoso che, fingendo di venire di corsa, annunziava, manco fosse l’habemus Papam, “eccoli, arrivano, arrivano”. Al nunzio tutti si protendevano all’infuori verso la strada, spingendo e spintonandosi per meglio vedere la carovana. Folla ansiosa e presto delusa fino a che un vento improvviso non irrompeva nella calda mattina (al tempo esistevano ancora le mezze stagioni), messaggero della tempesta di ruote che sfrecciavano dinanzi ai nostri occhi e poi scomparivano lontani verso la Foce.
Quello era il segno del rompete le righe e tutti ce ne tornavamo a casa chiedendoci a vicenda “l’hai visto questo? l’hai visto quello?”. Camminando in mezzo a quelle domande, ci avviavamo verso il desco dove fumante ci aspettava il minestrone felice con noi anche perché quel giorno le scuole erano rimaste chiuse.

BERT BAGARRE