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Luci della città

Dall’orgoglio nero ai King Crimson

di Giorgio Pagano

Roma, Maxxi, mostra "African Metropolis", 22 giugno-4 novembre 2018, "Calao" di Abdoulaye Konaté (2018) (foto Giorgio Pagano)

Come già altre volte, anche quest’anno scrivo nella rubrica delle iniziative culturali che più mi hanno coinvolto in estate, la stagione che più si presta a godere della cultura. Fa riflettere che lo stia facendo a novembre: è un piccolo segno che il nostro Paese si sta tropicalizzando… Pochi giorni fa eravamo a 28 gradi e le spiagge erano piene, come d’estate. Poi sono venute, come ai Tropici, le piogge violente, e le devastazioni nel nostro litorale. L’estate è davvero finita, ma chissà…
Ma veniamo al tema. Con una precisazione: se quest’anno Spezia e la sua provincia non vengono citate è perché il lavoro mi ha portato spesso altrove e quindi qualcosa mi è sfuggito. Ma è anche perché il nostro territorio, almeno così mi è sembrato, ha offerto proprio poco.

AFRICAN METROPOLIS
Una delle iniziative che più mi ha “preso” è stata la mostra “African Metropolis” al Maxxi di Roma: 100 opere di 34 artisti africani, una molteplicità di opere molto diverse tra loro, ma tutte straordinarie. Dalle fotografie alle pitture e alle sculture, dai video ai tessuti: lavori in cui convivono tradizione e innovazione, paesaggi urbani e visioni più intime. Nella foto in alto potete ammirare una di queste opere: “Calao” di Abdulaye Konaté, artista del Mali, che ha trovato nel Bazin, un tessuto tradizionale maliano, il medium perfetto. Un tessuto che diventa metafora della memoria e della tradizione culturale dell’artista ed elemento di denuncia sociale di grande impatto. “Calao” è una composizione gioiosa, che raffigura il simbolo propiziatorio per eccellenza della popolazione nordafricana dei Sénoufos, un uccello portatore di prosperità e fertilità utilizzato nei riti di iniziazione.
“African Metropolis” è un’occasione per riflettere sulla scena culturale del continente africano. Ne ho accennato qualche volta, sul nostro giornale, nelle rubriche “Sao Tomé e Principe – Diario do centro do mundo” e “Marrakech – Diario africano”: le culture giovanili si stanno dimostrando essenziali in molte città africane per stimolare industrie creative e spazi artistici. Sono artisti giovani, fieri, militanti. Dall’arte alla musica e alla letteratura, è una generazione nuova che rivendica le sue radici e nel contempo è cosmopolita. La comunità africana è molto varia: ci sono “le Afriche”, non “l’Africa”. I linguaggi degli artisti sono molteplici, spesso contraddittori. Ma la mostra è un racconto espositivo che ci fa percepire l’unità di questa realtà. Nonostante l’eterogeneità, “l’Africa” è l’anima unitaria della narrazione della mostra.
Un’altra riflessione che scaturisce da “African Metropolis” è che l’arte moderna non è bianca e borghese, ma nasce nel suo incontro con le culture non occidentali, africane in particolare: da Picasso a Braque, da Gauguin a Giacometti… L’Africa è davvero ovunque. Abbiamo avuto origine nel continente africano e quindi siamo tutti africani. E alla fine del XXI secolo, spiegano i demografi, gli africani costituiranno il 41% della popolazione mondiale. Il mondo sarà sempre più africano. E l’Africa non è soltanto miseria e guerre: è anche solidarietà, creatività, speranza. Potrebbe esserlo ancora di più se migliorassero le sue classi dirigenti e se l’Occidente la smettesse di praticare politiche neocolonialiste (che hanno come conseguenza anche il degrado morale di molte classi dirigenti africane…).
Certo, una mostra non basta per conoscere e capire l’Africa. Né basta scriverne. Io ne scrivo spesso, perché in Italia è conosciuta e capita molto poco. Ma mi rendo conto che l’Africa non si racconta. Si vive. Io l’ho conosciuta e capita solo vivendoci. Nessun racconto, nessuna guida, nessuna mostra avrebbe potuto insegnarmi ciò che ho provato. Ho avuto la fortuna di conoscere e capire l’Africa grazie al mio impegno di cooperante. Suggerisco a chi può permettersi un viaggio di farlo in Africa. Tra l’altro, quasi ovunque, il soggiorno non è affatto costoso. L’importante, però, è che si tratti di turismo sostenibile, che rispetti l’ambiente e consenta al turista l’esperienza della conoscenza degli africani, dei loro costumi, della loro cultura, della loro gastronomia…

21ST CENTURY SCHIZOID MAN
Sono andato al concerto dei King Crimson in piazza Napoleone a Lucca, il 25 luglio, solo perché il biglietto era il regalo di Natale di mio figlio. Un grande regalo: è stato un concerto emozionante, uno dei più belli che abbiamo mai ascoltato. Di una bellezza davvero rara. Una sontuosa, epica cerimonia laica, che ha mescolato musica psichedelica, rock, free-jazz, musica classica. Magistralmente interpretata da tutti e diretta dal fondatore e leader del gruppo, il grande chitarrista Robert Fripp.
Prima del concerto, iniziato con rigorosa puntualità, eravamo stati informati circa la regola aurea a cui dovevamo attenerci durante l’esibizione: niente foto. Al termine del concerto, ci hanno detto, Robert Fripp si presenterà sul palco con una macchina fotografica: quello sarà il segnale del via libera per fare foto. Una manciata di secondi, che ho utilizzato per scattare la foto che vedete in basso.
Tanti sono stati i momenti magici del concerto. Soprattutto il bis finale con la straordinaria, epocale “21st Century Schizoid Man”, una delle più belle canzoni contro la guerra. Era il 1969, il testo diceva:

“Zampa di gatto, artiglio di ferro
Neuro chirurghi urlano per avere di più
Alla porta velenosa della paranoia
Uomo schizofrenico del ventunesimo secolo.
Sangue tortura filo spinato
Rogo funebre di politicanti
Innocenti stuprati dal fuoco del napalm
Uomo schizofrenico del ventunesimo secolo.
Seme di morte, l’avidità cieca degli uomini
I poeti muoiono di fame, i bambini sanguinano
Non ha avuto nulla di quello che vuole veramente lui
Uomo schizofrenico del ventunesimo secolo.”

Era una canzone contro la guerra nel Vietnam, dedicata a Spiro Agnew, Vicepresidente degli Stati Uniti d’America con Richard Nixon Presidente.
Il nuovo testo della canzone (dal 2014) non è molto diverso ma contiene un riferimento all’accordo Sykes-Picot e toglie il riferimento al napalm. L’accordo Sykes-Picot segnò la spartizione del Medio Oriente tra Gran Bretagna e Francia nel 1916. L’accordo acquisì subito una pessima fama: nell’immaginario arabo prese a rappresentare il feroce e malvagio disegno occidentale di imporre i mali del colonialismo ai liberi popoli del mondo arabo. Qualche giorno dopo il concerto sono partito per la Palestina. Appena arrivato, mi è subito venuta in mente “21st Century Schizoid Man”. Una canzone davvero profetica.
Ma, oltre ad “African metropolis” e al concerto dei King Crimson, ci sono altre due cose che quest’estate mi hanno molto coinvolto. E mi hanno “rapito” ancora di più. Ne scriverò domenica prossima.