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Un San Gerolamo di Nicolò Corso

di Piero Donati

Nicolò Corso, San Gerolamo (La Spezia, Museo Civico "Amedeo Lia")

Mi sono domandato più volte quale fosse, fino alla metà del secolo XVII, l’assetto dell’altare maggiore e del presbiterio della quattrocentesca chiesa di Nostra Signora delle Grazie, parte integrante del complesso conventuale che gli Olivetani edificarono nel territorio di Portovenere allorché decisero di abbandonare la sede del Tino, antica fondazione benedettina assegnata loro nel 1432. Non è infatti verosimile che fino al 1642, anno in cui fu compiuta la macchina marmorea destinata a racchiudere la più importante immagine di culto della chiesa (una Madonna col Bambino di Andrea de Aste, giunta in territorio portovenerese prima ancora dei frati di Monte Oliveto), lo spazio più importante dell’edificio sacro fosse privo di un apparato iconografico degno dell’importanza attribuita a questa fondazione, importanza accresciuta peraltro nel 1441 a seguito dell’assegnazione dei beni dell’abbazia di San Venanzio di Ceparana.
Il passaggio della tavola della Madonna delle Grazie dal modesto sacello per il quale era stata eseguita alla ben più prestigiosa collocazione sull’altare maggiore completamente rinnovato segna un mutamento profondo nel rapporto fra gli Olivetani ed il territorio nel quale si erano insediati due secoli prima, un mutamento nel segno del pieno inserimento e non più, come in precedenza, nel segno della presa di possesso. L’arrivo della congregazione di Monte Oliveto in Liguria (1389) era avvenuto attraverso l’incorporazione di una preesistente fondazione dei Gerolamini a Quarto ed il culto di San Gerolamo dovette caratterizzare anche alle Grazie il primo tratto di vita della comunità monastica. Le quotazioni del Dottore della Chiesa, che Erasmo da Rotterdam eleggerà a suo modello, erano in piena ascesa nei decenni centrali del secolo XV, come dimostra anche, per ciò che riguarda il nostro territorio, la nascita di una confraternita a lui intitolata a Sarzana (1471). Capillare diffusione, con varie traduzioni in volgare (persino in lingua sicula!), ebbe un testo, attribuito in passato ad Eusebio da Cremona, contenente le paterne esortazioni rivolte in punto di morte da Gerolamo ai discepoli; questo opuscolo, inserito da J.P. Migne nella Patrologia Latina, fu stampato più volte a Venezia a partire dal 1471, e l’edizione del 1475, a giudicare dal numero degli esemplari conservati, dovette essere un vero e proprio successo editoriale.
Dal capitolo XXXIII di questo opuscolo è tratta la frase (“Sermo indicat qualis est homo”) che campeggia a grandi caratteri sul libro aperto ostentato dal santo nella tavola conservata nel Museo “Amedeo Lia” della Spezia con l’attribuzione a Nicolò di Lombarduccio, maestro di origine corsa, e questa frase, che non ricorre in altre raffigurazioni di San Gerolamo, costituisce il principale indizio a nostra disposizione per individuare la provenienza e la funzione originaria del dipinto. Gerolamo morente raccomanda ai suoi discepoli di coltivare la virtù del silenzio e l’esortazione si conclude con queste parole: “In ore sacerdotis vel monachi, nullum unquam sit verbum, in quo sonet Christi nomen” (Sulla bocca di un sacerdote o di un monaco ci sia posto soltanto per il nome di Cristo). L’esplicita menzione di coloro che conducevano vita monastica come destinatari del messaggio rende plausibile l’ipotesi che questa tavola, nella quale il santo è raffigurato frontalmente, costituisse il perno di un polittico destinato ad una chiesa officiata dai monaci, polittico del quale faceva parte, raffigurato però di tre quarti, anche il San Gregorio Magno (altro Dottore della Chiesa) oggi in collezione privata dopo essere stato venduto dal museo di Toledo (Ohio). Questo polittico, se ho visto giusto, era stato commissionato a Nicolò Corso, nato nel 1446 circa, per l’altare maggiore della chiesa olivetana delle Grazie, ove rimase fin quasi alla metà del secolo XVII, allorché fu rimosso in occasione del totale rinnovamento dello spazio presbiteriale; i singoli scomparti si dispersero poi nei meandri carsici del mercato antiquariale e, per un caso fortunato, il San Gerolamo trovò stabile collocazione, a seguito della donazione dell’ingegner Lia, a pochi chilometri dal luogo d’origine.
In occasione di una recente mostra milanese il San Gerolamo ed il San Gregorio Magno vennero attribuiti, senza validi argomenti, ad un altro maestro ma il riferimento a Nicolò Corso va invece confermato. Nello stesso tempo va sottolineata la centralità della figura del nostro nel panorama della pittura ligure nel penultimo decennio del secolo XV (il pittore muore nel 1513 ma le notizie sulla sua attività si arrestano dieci anni prima), allorché il suo rapporto privilegiato con gli Olivetani, nel cui seno egli si era fatto oblato, produce due frutti maturi di scelta bellezza: il ciclo del refettorio del monastero delle Grazie (1490) ed il polittico, di due anni successivo, realizzato per l’altare maggiore della chiesa del monastero di Quarto e recante al centro, anche in questo caso, un imponente San Gerolamo, esulato purtroppo a Philadelphia.
Sul percorso di Nicolò e sulla tavola conservata al Lia mi sono soffermato nella relazione presentata al Colloque internazionale che si è tenuto a Corte, presso l’Università della Corsica, dal 6 al 9 novembre 2018, i cui Atti, già stampati, sono in attesa di essere presentati e diffusi. Il desiderio di rendere omaggio alle collezioni del museo spezzino mi ha dato l’occasione di fornire una breve anticipazione del mio contributo.

PIERO DONATI