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Porto Venere: il martire martirizzato

di Piero Donati

Il martirio del diacono Lorenzo

Portovenere: il martire martirizzato

Fra le opere d’arte della nostra zona che versano in uno stato così preoccupante da richiedere un immediato intervento – in regime di “somma urgenza”, come si dice in gergo burocratico – c’è senz’altro il portale della chiesa più importante del borgo di Portovenere, dedicata al martire Lorenzo. Questo portale marmoreo fu realizzato nella prima metà del secolo XVI nell’ambito di un ampio programma di rinnovamento dell’edificio sacro, rinnovamento che i danni subìti nel 1494 avevano reso ancor più urgente. In quell’anno, infatti, gli Aragonesi avevano tentato di occupare il borgo, fulcro da secoli della potenza genovese nell’Estremo Levante; la popolazione aveva fieramente resistito, nonostante l’impiego di artiglierie da parte della flotta assediante, e l’episodio aveva avuto vasta eco, tanto da trovare spazio, a distanza di molti anni, nella Storia d’Italia di Francesco Guicciardini.
Gli interventi effettuati nella chiesa di San Lorenzo si concentrarono soprattutto nella zona presbiteriale – qui fu innalzato un nuovo altare, successivamente smembrato – e nella facciata, ove fu collocato un rosone marmoreo (oggi visibile sulla facciata dell’ex-oratorio di Santa Croce) ed ove il portale medioevale fu arricchito da due colonne tortili e da una lunetta nella quale è raffigurato il martirio del diacono Lorenzo (foto Matteo Originale 2012). Si tratta di un esplicito omaggio alla Dominante poiché la medesima scena occupa uno spazio analogo – la lunetta del portale maggiore – del Duomo genovese; il mandato dei committenti spinge l’artefice ad irrigidire il modellato nell’intento di conformarsi al modello duecentesco, conferendo così al corpo sdraiato sulla graticola un sapore arcaico che può trarre in inganno. La maggior scioltezza con cui fu realizzato l’angelo che reca a Lorenzo la corona del martirio potrebbe far pensare all’intervento di un collaboratore ma la diversità di stile segnala soltanto l’applicazione di logiche diverse.
Questa lunetta e queste colonne, come si diceva, sono fortemente degradate ed il pericolo della perdita della maggior parte dei dettagli del modellato è più che concreta. Alcuni anni fa, per preservare la lunetta dall’ aerosol marino, si è deciso di proteggerla con una lastra trasparente ma questi provvedimenti invasivi hanno un senso soltanto se sono adottati dopo il restauro per impedire che i risultati acquisiti siano vanificati (così si è fatto, ad esempio, dopo il restauro dei dipinti murali presenti nelle lunette della chiesa di Sant’Andrea di Levanto e della chiesa di San Francesco di Sarzana); in assenza di un restauro ben condotto, queste protezioni passive rischiano di essere quanto meno inefficaci poiché i cloruri e gli inquinanti penetrati per decenni nella compagine litica continuano ad agire indisturbati. L’estrazione dei cloruri ed il parallelo consolidamento del marmo sono operazioni indispensabili, alle quali si deve accompagnare la stesura di un attento programma di manutenzione; soltanto in presenza di questi provvedimenti si potrà pensare alla creazione di ostacoli all’azione eolica. Più che a lastre di plexiglass, si potrebbe pensare, abbandonando la discutibile logica tutta novecentesca della “monumentalizzazione”, ad alberature da porre nel piazzale antistante.
Spero che questo grido d’allarme non cada nel vuoto. Non è tollerabile che il povero Lorenzo sia martirizzato una seconda volta.