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Luci della città

L’amore, l’indignazione e una nuova dimensione del vivere

di Giorgio Pagano

Mostra fotografica di Giorgio Pagano "Sixty", 18 ottobre - 22 novembre 2014, Archivi multimediali Sergio Fregoso: Paesaggi naturali, da Campiglia al Persico  (2014)

Un intreccio di ricordi, incontri, letture, testimonianze raccontati con un sentimento di grande tenerezza, che è in sostanza l’amore: definirei così “Mare verticale” di Marco Ferrari, un bel libro sul nostro territorio (il sottotitolo è “Dalle Cinque Terre a Bocca di Magra). L’amore per il nostro territorio anima anche un altro bel libro, diversissimo da quello di Marco: “Il golfo dei veleni” di Sondra Coggio, appassionata inchiesta su “La Spezia e il traffico internazionale dei rifiuti”. In entrambi c’è, oltre l’amore, anche l’indignazione, o lo scoramento che dir si voglia, di fronte a un territorio del quale si denuncia, pur partendo da differenti sensibilità, la transizione dallo splendore al declino.
Ferrari racconta il passaggio nelle nostre terre, e spesso la lunga permanenza, di decine e decine di pittori, scrittori, artisti. Tutto cominciò nell’estate del 1926, quando Eugenio Montale e altri celebri intellettuali del tempo compirono la traversata a piedi da Levanto a Portovenere, il tratto che poi sarebbe diventato il sentiero costiero delle Cinque Terre. Terre allora ancora poco conosciute ed estranee all’attuale turismo di massa, e che tali rimasero fino agli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso. Vernazza, grazie a personaggi come Alighiero Boetti, l’inventore dell’”arte povera”, e Aldo Trionfo, uomo di teatro, scoprì che oltre la vigna e la barca c’erano altri modi di vivere e di esprimersi: fu questa la lezione che appresero, con grande apertura, gli “indigeni”. Ciò successe anche a Corniglia, grazie a Michelangelo Pistoletto e alla moglie Maria Pioppi, che concepivano l’arte come un’opera condivisa tra amici e compaesani. E a Manarola, grazie al cineasta Gianni Amico, sulla cui terrazza sul mare si scrivevano sceneggiature con Enzo Ungari, grande spezzino prematuramente scomparso, si discuteva di cinema con il regista brasiliano Glauber Rocha o si ascoltavano le note della tromba di Enrico Rava e del sax dell’argentino Gato Barbieri; e grazie al grande manarolese Dario Capellini, partigiano, maestro e amministratore pubblico, e soprattutto amico dei pittori. Nelle feste che organizzava gli artisti lasciavano le matrici delle serigrafie, che servivano a finanziare l’attività politica della sezione del Pci; il premio simbolico ai vincitori era una fiaschetta di sciacchetrà. Ho avuto la fortuna, da ragazzo, di conoscere Ungari e Capellini, di acquistare le serigrafie di Renato Birolli e di Lino Marzulli, che conservo ancora alle pareti di casa, di ascoltare tante volte Rava, e una volta pure Gino Paoli, altro frequentatore delle nostre terre (fu anche gestore del casinò di Levanto) nel suo unico indimenticabile concerto nella piazzetta di Vernazza. E pure la fortuna di vedere le famose opere teatrali di Pistoletto nei carruggi di Corniglia, recitate dagli abitanti. Si discuteva, si beveva vino e si mangiavano le acciughe, in una dimensione comunitaria ormai perduta, che ritrovo solamente quando mi invitano nelle cantine lungo le impervie scalinate di Tramonti. Accanto alla tenerezza nel libro di Marco c’è, dicevo, anche un po’ di indignazione, o di scoramento: sono i sentimenti che prevalgono quando, per esempio, si vede il cemento sopraffare la “dimora delle due palme” di Montale. Il grande poeta fuggì da Monterosso esterrefatto dalla speculazione edilizia. “Anche i paradisi terrestri sono soggetti alla corruzione”, scrive Ferrari, e ha ragione.
L’autore non dimentica naturalmente la città, con pagine intense dedicate a Giancarlo Fusco e a Gino Patroni, e alla sua bellezza, in gran parte andata distrutta con la guerra e poi tradita, nel dopoguerra, da “una precipitosa ricostruzione “ e da ”una frettolosa industrializzazione”. Poi c’è Lerici, scelta dagli editori Valentino Bompiani e Mario Spagnol, e da Mario Soldati, che si innamorò di Tellaro. Molto belli i ritratti di due persone che ho conosciuto: Maddalena Di Carlo, per tutti Madì, comunista, partigiana, pittrice e chiromante, che viveva nel castello, allora ostello della gioventù, e dava ospitalità a giovani provenienti da tutto il mondo. Ernest Hemingway venne apposta a Lerici per conoscerla. Negli anni Ottanta mi impegnai a fondo per la difesa dell’ostello, in un referendum in cui prevalse il sì alla sua chiusura: un errore storico dei lericini, allora e tanto più alla luce di quel che succede oggi: i giovani di tutto il mondo vanno nell’ostello di Biassa, oltre che in quelli delle Cinque Terre! L’altro ritratto è di Paolo Bertolani, grande poeta della Serra. Lo ricordo al Civico, nella serata di chiusura della mia prima campagna elettorale da Sindaco (1997): lesse alcune sue poesie, fu straordinario. Le sue opere sono esaurite, meriterebbero una riedizione. Ancora: vicino a Lerici c’è Trebiano, il borgo scelto da Hèléne de Beauvoir, sorella di Simone, la moglie di Jean-Paul Sartre. Ferrari, infine, conclude la sua raccolta di istantanee a Bocca di Magra, altra celebre meta di intellettuali, da Vittorio Sereni a Marguerite Duras, da Elio Vittorini a Franco Fortini, da Giulio Einaudi a Mary Mc Carthy. Molti di loro si batterono contro la speculazione edilizia, ma furono sconfitti: solo in parte a Bocca di Magra e a Montemarcello, totalmente a Fiumaretta.
Di grande interesse anche il libro di Sondra Coggio. La trama delle vicende che riguardano la città e il traffico dei rifiuti è riletta integralmente attraverso i lavori delle Commissioni parlamentari di inchiesta. Atti ufficiali, dunque. Uno dei protagonisti del libro è il capitano Natale De Grazia, ufficiale della Capitaneria di Porto, collaboratore del Procuratore di Reggio Calabria Francesco Neri. Secondo la precisa testimonianza del magistrato Nicola Maria Pace, De Grazia era riuscito a individuare le coordinate relative al punto di affondamento della nave Rigel, che aveva con sé un carico di rifiuti radioattivi. Il capitano morì il 13 dicembre 1995 dopo essere partito da Spezia, per portare il magistrato sul punto di affondamento. Inoltre, spiega la Coggio, De Grazia aveva in testa la vicenda della nave Latvia, che era all’ormeggio nella nostra rada ed era sospettata di avere lo stesso carico della Rigel. Le indagini sulla morte del capitano parlarono per 18 anni di malore, ma una perizia recente ha parlato di cause tossiche, cioè di avvelenamento; anche se, a distanza di così tanti anni, è stata irreversibilmente dispersa la possibilità di indagare seriamente sul versante tossicologico. Del resto, dopo la sua morte, il gruppo investigativo progressivamente si sfaldò: fu chiaramente un effetto del clima di intimidazione. Come ha scritto la Commissione parlamentare nel 2013 “la morte del capitano De Grazia si inscrive tra i misteri irrisolti del nostro Paese”. Il suo fu un comportamento segnato da un fortissimo senso del dovere: ecco perché il Consiglio Comunale spezzino ha fatto bene a concedere al capitano la cittadinanza onoraria e a chiedere all’autorità giudiziaria di ripercorrere nuovamente ogni indizio e ogni passaggio della vicenda, perché essa non cada nell’oblio e perché i responsabili siano assicurati alla giustizia.
La Coggio riporta poi le dichiarazioni di numerosi pentiti, pur precisando sempre che le loro parole vanno provate e che non sono tutte oro colato. Raccontano di numerose navi affondate, piene di rifiuti tossici, “anche nel tratto davanti alla Spezia e al largo di Livorno”. C’è, ricorda la Coggio, un esposto ancora attivo, al Tribunale spezzino, su queste vicende: lo presentò nel 2009 Legambiente. Il fatto che la magistratura non abbia proceduto all’archiviazione fa pensare, e sperare. Bisogna continuare a cercare: perché “senza verità non c’è democrazia”, conclude l’autrice citando Pier Paolo Pasolini.
I due libri hanno il linguaggio, scrivevo all’inizio, dell’amore e insieme dell’indignazione, se non dello scoramento. Ecco, non bisogna disperare. Anche se bisogna vedere bene tutto quello che non va, e indignarsi. Maria Pace Ottieri, nipote di Valentino Bompiani, alla presentazione di “Mare verticale” a Lerici e poi sul “Secolo XIX”, ha parlato di “un’epoca straordinariamente fertile per la cultura a Lerici, oggi finita”. Michelangelo Pistoletto, alla presentazione a Genova e poi sul “Secolo XIX”, ha detto che nelle Cinque Terre “tutto si è trasformato in business e a farne le spese è stato soprattutto il territorio, inteso ora come qualcosa da sfruttare invece che da amare… ciascuno pensa per sé e non come comunità in armonia con il paesaggio”. In tema di rifiuti, ci sono ancora quasi tutte le discariche e i siti inquinati, a Spezia come a Lerici, da bonificare, c’è l’indagine epidemiologica da completare… In questa rubrica, e negli altri miei contributi leggibili su www.associazioneculturalemediterraneo.com, ho scritto più volte delle soluzioni possibili nei vari campi in questione. E tante proposte sono state avanzate da associazioni, movimenti, forze politiche e sociali. Ma alla radice deve esserci una svolta nel pensiero e nel modello di vita, fuori dai miti e dai riti del mainstream dominante. Alla base di tutto deve esserci cioè una nuova dimensione del vivere su cui può fondarsi un’altra idea di economia, di società e di sviluppo. Un vivere più sobrio e più lento, capace di rimetterci in sintonia con la natura e il paesaggio, che non ci faccia consumare altro territorio, che riscopra l’agricoltura, che rilanci la creatività e la cultura, che ricomponga città e paesi alla dimensione della vita comunitaria, che bonifichi e recuperi ciò che è stato inquinato e dissipato, che ricerchi sempre la verità. Un vivere all’insegna dell’attenzione e dell’ascolto, che rompa la cappa di incomunicabilità in cui la crisi della politica e la sua assenza di contenuti sembrano immergerci. Per un’altra politica, che voglia riconsegnare il mondo a chi lo abita. Per una vita più “umana”.