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Luci della città

2018, tutte le sfide per Spezia

di Giorgio Pagano, seconda parte

La Spezia, veduta dal monte Santa Croce (2016)

AREE ENEL: ENERGIE RINNOVABILI E CITTADELLA DELLA MARINERIA
La città del futuro si costruisce non con la subalternità del pubblico alle scelte dei privati ma con la pianificazione strategica e urbanistica, cioè con la capacità del pubblico di interloquire con i privati sulla base di indirizzi chiari e di regole certe. Ciò vale non solo per il waterfront -ne ho scritto domenica scorsa-, ma anche per le aree che Enel libererà una volta dismessa la centrale.
E’ giusto pensare a un utilizzo ancora industriale di queste aree, in particolare nel settore dell’energia. Il “nuovo PUC”, fatto decadere dalla nuova Amministrazione, prevedeva impianti di fotovoltaico. Lorenzo Forcieri, nei mesi scorsi, ha parlato di una fabbrica di auto elettriche. La Germania si è posta l’obbiettivo di un milione di auto elettriche entro il 2020, Francia e Regno Unito puntano ad avere tutte le nuove auto immatricolate a basse emissioni a partire dal 2040, mentre l’Italia non ha alcuna strategia di lungo termine. Chi crede di più alle auto elettriche è proprio l’Enel, come si evince dal suo piano industriale: l’idea dell’ex senatore non è quindi campata per aria. Certo, la tesi dell’Enel ha fieri avversari: Eni e Fca (ex Fiat) hanno fatto un accordo che scommette tutto sulle auto a metano. Apro una parentesi: il duello tra Eni ed Enel sul futuro dell’auto non ci riguarda solo per le aree di Vallegrande, ma anche per il rigassificatore di Panigaglia. L’Italia, secondo la Strategia Energetica Nazionale approvata dal Governo nel 2017, ha bisogno di più metano: da qui la necessità di potenziare l’impianto di Panigaglia, per superare i suoi “limiti di operatività”. La scelta del Governo è passata del tutto inosservata tra la nostra “classe dirigente”, ma è un nodo che verrà al pettine. Per non subire le scelte degli altri c’è una condizione base: avere delle idee proprie. Non c’è dubbio che la scelta del potenziamento di Panigaglia si supera solo con l’idea di un’Italia che punta di più sulle energie rinnovabili. Chiusa la parentesi, torniamo alle aree Enel e al suo utilizzo per l’energia del futuro. Al fotovoltaico e alle auto elettriche si è aggiunta un’altra suggestione: la Regione Liguria ha deciso di partecipare al bando dell’Enea per ospitare il centro di ricerca per la realizzazione dell’esperimento Dtt-Divertor Tokamak Test, rientrante in Eurofusion, il consorzio europeo che coordina le ricerche sulla fusione nucleare per conto della Commissione europea. Studiare la fusione è senz’altro importante: ma non dimentichiamoci che è meglio puntare sulle energie rinnovabili, che sono già oggi una realtà e costano molto meno.
Detto dell’uso ancora industriale delle aree Enel, va aggiunto che alla città ciò non può bastare (ne ho scritto in “Riuso dell’area Enel e riscatto del levante”, “il Secolo XIX”, 26 febbraio 2017). Le nuove tecnologie consentono la compresenza tra l’industria innovativa, gli spazi sociali e culturali, il verde pubblico e, soprattutto, la realizzazione di una “cittadella della marineria”, un emiciclo collegato al mare con un canale. Alla base c’è la stessa idea della darsena realizzata a Pagliari. Si può pensare a un porticciolo per la nautica sociale e a spazi dedicati alla cultura della marineria e alle attività artigianali e commerciali legate alla marineria. Il mare a Spezia non deve tornare solo in centro (waterfront), ma anche a ponente (Marola) e a levante. La dismissione della centrale deve diventare dunque l’occasione per il riscatto del levante, pesantemente penalizzato dalle scelte compiute dal vecchio industrialismo del secolo scorso: un riscatto che non può che passare dalla riscoperta del suo rapporto con il mare.

PIAZZA DEL MERCATO, IL METODO E’ QUELLO GIUSTO
Il percorso partecipativo per la riqualificazione di piazza Cavour comincia a prendere forma. Come garante della partecipazione -la figura esterna e indipendente che dovrà assicurare la trasparenza e il corretto svolgimento di ogni tappa del processo- l’Amministrazione Comunale ha scelto Giovanni Allegretti, uno dei massimi esperti di “urbanistica partecipata”. Una scelta molto positiva. Ero fuori Italia e non ho potuto compilare il questionario con cui il Comune ha iniziato il percorso, altrimenti l’avrei fatto: per la prima volta dopo molti anni il cittadino è stato chiamato a dare un contributo partecipativo vero.
Nel merito ho già scritto in questa rubrica (“Piazza del mercato, facciamo come a San Lorenzo”, 31 gennaio 2016). La vera questione è questa: non si tratta solo di migliorare una piazza, ma anche di ripensare un luogo di lavoro. Per questo sarebbe utile uno studio socio economico sul mercato oggi, sui suoi problemi e sulle sue prospettive. Come si fece prima dell’ultima ristrutturazione. Il mercato attuale è molto diverso rispetto a quello di 15 anni fa: è stato colpito dalla “Grande crisi” del 2008, sono spariti molti banchi, è mutata la composizione merceologica, sono arrivati gli immigrati… Per questo penso che gli operatori non reggerebbero una ristrutturazione radicale e un lungo cantiere: credo sia la convinzione anche di molti di loro. Il che non significa che non occorrano miglioramenti anche radicali alla struttura attuale. Una parte della piazza, per esempio, potrebbe non essere più occupata dai banchi e funzionare come a San Lorenzo a Firenze: un luogo per gustare le specialità del territorio, vivo fino a sera, centro di attrazione per spezzini e turisti.
Sarà comunque il confronto a darci la soluzione migliore. Questo metodo deve valere anche per altri progetti, ancora più complessi: il futuro delle aree dell’Enel e del waterfront ha bisogno del coinvolgimento dei cittadini. Senza questa partecipazione resterebbe un’altra “partecipazione”: quella, a quel punto decisiva, degli investitori interessati alle aree Enel e delle compagnie crocieristiche interessate al waterfront. Con l’ammaina bandiera della pubblica amministrazione.

LA SANITA’ NON STA AFFATTO BENE
La situazione della sanità spezzina è grave. In un contesto in cui tutta la sanità italiana se la passa male. Continua il progressivo definanziamento della spesa pubblica per la salute, che al 2020 dovrebbe traguardare il 6,3% del Pil, ovvero sotto la soglia del 6,5% che l’Organizzazione Mondiale della Sanità individua come livello minimo per evitare ripercussioni negative sull’aspettativa di vita dei cittadini. La spesa per la sanità è stata volutamente ridimensionata in favore del welfare aziendale. Una tendenza nata con Berlusconi e aumentata con Renzi. L’obbiettivo è ridurre l’incidenza della spesa pubblica sanitaria e, allo stesso tempo, defiscalizzare datori e lavoratori grazie al welfare aziendale, in cui in sostanza il lavoratore rinuncia a una parte della retribuzione che andrà a coprire la sua assicurazione sanitaria. Lo Stato va così a incentivare il privato, attraverso le mutue e le convenzioni con le aziende. Il sistema sanitario si indebolisce, le persone rinunciano alle cure per motivi economici (12,2 milioni), le liste di attesa sono lunghe perché i posti sono pochi, così come il personale, costringendo le persone a mettere mano al portafogli per ricorrere alle strutture private.
In Liguria la Regione con la sanità diretta dalla Lega punta anch’essa sul privato, mi spiega l’amico Francesco Battistini, combattivo consigliere regionale. C’è una contrazione del personale perché si vuole risparmiare, mentre si spende per Alisa, la “super Asl”. Si punta a privatizzare alcuni ospedali: ma siamo poi così sicuri che la sanità privata costi meno e funzioni meglio? A Spezia alcuni reparti sono già privatizzati, per non parlare dei servizi di base (ma con un costo maggiore, perché esternalizzando si paga l’Iva). Nella nostra città il malfunzionamento della sanità ligure è aggravato da una crisi del “nucleo di comando”, con un direttore generale subalterno a un direttore sanitario (leghista, tanto per cambiare) che non si sa se ha i requisiti o no per poterlo fare. Con il picco influenzale invernale e il caldo estivo si va sempre in crisi: manca il personale, mancano i piani, le emergenze sono diventate strutturali. Continua la fuga verso altre regioni, e così via.
La costruzione del nuovo Ospedale al Felettino incontra problemi sempre nuovi, è chiaro che la data di ultimazione lavori non sarà rispettata. La ditta, che aveva vinto l’appalto con un ribasso molto forte, ha già chiesto riserve consistenti. Il cantiere sembra fermo. C’è solo il bunker della radioterapia, che funziona nel deserto, senza una struttura d’appoggio, senza un’ambulanza. Al Sant’Andrea si fanno rattoppi continui, mentre all’Ospedale di Sarzana piange il cuore a vedere spazi interi abbandonati. Per anni si è detto e scritto che il nuovo Ospedale del Felettino sarebbe stato un Dea di secondo livello, con almeno tre cosiddette “alte specialità” (si veda, in questa rubrica, “Ospedali, una storia di ritardi e di errori”, 12 febbraio 2017): ma non ha i numeri previsti dal recente decreto Balduzzi -da un minimo di 600.000 a un massimo di un milione e 200.000 cittadini- e la Regione nulla ha fatto per chiedere una deroga. Mi spiega Battistini: “Abbiamo specialità che con l’applicazione rigorosa del Balduzzi perderemo: chirurgia vascolare, pneumologia, infettivologia ed emodinamica ne sono un triste esempio. Avremo a breve, si spera anche se sarà difficile, un nuovo Ospedale progettato per essere un Dea di secondo livello, ma che rischia invece di rimanere in parte scarsamente utilizzato. Un esempio: dieci sale operatorie -addizionate poi alle cinque attive su Sarzana- con quali specialità funzioneranno? Nel Dea di secondo livello avrebbero trovato posto, oltre alla vascolare, la cardiochirurgia e la neurochirurgia. Due specialità di alto profilo che richiedono un bacino di utenza di 600.000 abitanti. Un bacino che in molti confondono con il territorio dell’Asl 5, ma che invece deve essere esteso naturalmente al territorio ligure: ovviamente servirebbe una vera programmazione del sistema sanitario regionale. Abbiamo ben tre Dea di secondo livello tra l’area centrale e il ponente (Genova e Savona), ma nulla nella seconda città della Liguria, La Spezia. Noi potremmo puntare almeno a un primo livello avanzato seguendo due ipotesi: neurochirurgia, viste le distanze che ci separano dai grandi centri e il rischio nel trasporto dei pazienti; cardiochirurgia mettendoci in competizione con Villa Azzurra di Rapallo con la quale, oggi, abbiamo una convenzione a livello non solo spezzino ma regionale. Ma il patto deve essere: di quel che c’è non si tocca nulla”. Insomma, sperando che il nuovo Ospedale si faccia, il rischio è che sia sovradimensionato, perché lo abbiamo progettato come Dea di secondo livello. E l’Ospedale di Sarzana? A quel punto sarebbe facile dire: “Privatizziamolo”.
Bisognerebbe che i Sindaci si facessero sentire, quello di Spezia in particolare. Un Sindaco deve certamente tener conto della parte politica di cui fa parte: ma prima di tutto vengono gli interessi della città. Io non ho mai esitato a criticare il Governo o la Regione quando pensavo fossero nel torto, qualunque fosse il loro colore politico. Il legame troppo stretto con la Regione dello stesso colore ha fatto male al penultimo Sindaco, che è crollato con il crollo del sistema regionale a cui s era legato: Peracchini deve stare attento a non correre lo stesso rischio.
Di fronte a una situazione così seria, bisogna domandarsi perché anche noi cittadini non ci facciamo sentire come dovremmo. Su questo io e Battistini ci siamo dati la stessa risposta: “Per ora passa il discorso che non è cambiato niente rispetto a ‘quelli di prima’, e che se ci sono dei colpevoli principali questi sono proprio ‘quelli di prima’”. Il paziente è ormai una comparsa senza diritti, il lavoratore della sanità lavora in un contesto deficitario, con la crisi del welfare cala progressivamente la partecipazione democratica delle persone. Il compito difficile, ma fondamentale, è stimolare una nuova partecipazione. E costruire in questo modo un’alternativa politica convincente, che nulla abbia a che fare con ‘quelli di prima’.

SE SI HA UN PROGETTO, LA FURIA ICONOCLASTA PASSA
Il Sindaco -ricordo la stagione di felice collaborazione tra noi, quando lavorammo al Piano strategico della città- mi perdonerà se mi permetto di dargli un altro consiglio: non insista più di tanto sulla “distruzione” del passato. Una classe dirigente che non sa proiettarsi nel futuro, che non è capace di un estro e di un progetto, allora si accontenta di “distruggere” il passato. Ma se si ha un progetto, la furia iconoclasta passa. Io non ho mai pronunciato, in dieci anni, una sola parola critica nei confronti delle Amministrazioni che mi hanno preceduto. Poi per un decennio sono stato sempre criticato dai miei successori. Ma a loro non ha portato fortuna, mentre io, che pure mi definisco “moderatamente paganiano”, continuo a godere della fiducia e del rispetto dei cittadini che incontro per strada, anche di quelli più critici. Meglio, quindi, parlare del futuro.
E’ una riflessione che mi è venuta leggendo della conclusione di una fase della vicenda di Acam. L’azienda di via Picco è stata incorporata in Iren, la grande multiutility piemontese-genovese-emiliana. Rimangono Acam Ambiente e Acam Acque, con il Presidente indicato dai Comuni e gli altri due membri del Consiglio di Amministrazione indicati da Iren. La tesi dei sostenitori dell’accordo è che Acam, da sola, non ce l’avrebbe fatta ad andare avanti. Non solo per le criticità della sua situazione finanziaria, che non le consentiva i rilevanti investimenti che invece Iren assicura, ma più in generale: perché il contesto generale è aggregativo, e una piccola azienda provinciale ha troppi costi generali, ha difficoltà ad avere credito dalle banche, e così via.
A inizio del millennio io mi battei per l’aggregazione. Allora le aziende con cui aggregarsi erano interamente pubbliche, ma poco cambia: l’operazione che avevo in mente era dello stesso segno. Unirsi ad altri per consolidarsi e crescere. Fui messo in minoranza da chi dirigeva l’azienda e dagli altri Comuni soci, in modo anche politicamente disonesto, e sbagliai a non ribellarmi pubblicamente (tutta la storia, dettagliata, è in “Acam, la verità. Diario 1997-2007”, leggibile in www.associazioneculturalemediterraneo.com ). Il mio “difetto” principale -che fu un “pregio” in molte vicende, ma non in questa- fu l’isolamento rispetto al potere. Ho motivato la mia scelta di vita successiva e il rifiuto radicale del mondo da cui provenivo non solo con le mie nuove passioni ma anche con il distacco dalla politica che decadeva: Acam, regno delle oligarchie trasversali, ne era un simbolo.
Oggi non posso dire che l’obbiettivo che mi prefiggevo sia stato raggiunto. Sia perché la mia sconfitta di allora portò a scelte sbagliate, come la vendita di una parte del gas, anche a causa delle quali Acam è arrivata a questo appuntamento più debole e impoverita. Sia perché scelte sbagliate sono state fatte anche dopo, con la gestione dal 2007 al 2012: potevano esserci altre misure, in quegli anni, capaci di evitare la vendita della parte restante del gas e di parte dell’ambiente. Su questo una politica seria dovrebbe interrogarsi. Io mi sono assunto, per la mia parte e per una fase, le mie responsabilità. Ma dopo?
Io arrivo a interrogarmi anche sul punto se l’obbiettivo iniziale -l’aggregazione- fosse giusto. E mi domando: sia pure in un contesto che spinge all’aggregazione, un’azienda provinciale, gestita in modo molto efficiente, poteva reggere?
Detto questo, e tornando al punto iniziale, cioè alla critica a un atteggiamento solo “distruttivo”, penso che, fatta la scelta, ci si debba impegnare perché abbia un segno positivo. E quindi si debba parlare del futuro, della nuova era di Acam: come garantire il rapporto con il territorio, come migliorare l’efficienza dell’azienda, come fare investimenti sia nell’idrico che nell’ambiente, come diminuire le tariffe, come esercitare il controllo pubblico, come suscitare e organizzare la partecipazione dei lavoratori e degli utenti.

LA LUCE E’ SPENTA, LA PORTA E’ CHIUSA
Il Pd spezzino, nelle ultime elezioni comunali, è arrivato al fondo: il 15,23% 5.819 voti. “Un risultato drammatico, che mette in discussione la stessa tenuta del nostro partiti”, ha dichiarato Moreno Veschi (“Città della Spezia”, 30 giugno 2017). Oggi quella drammatica sconfitta è stata già metabolizzata. La routine autoreferenziale ha prevalso sulla consapevolezza della chiusura di una fase storica e sulla necessità di una pesante autocritica collettiva. Lo stesso film delle regionali del 2015. Eppure ci sarebbe tanto, tantissimo da rimettere in discussione. Ma non lo si fa, e arriverà un’altra tranvata, quella delle politiche di marzo. Ha ragione Luca Borzani quando scrive: “Bisognerebbe prendere atto che da molto tempo è stata spenta la luce e chiusa la porta. Per questo bisogna davvero mutare rotta. Ricostruendo un progetto credibile di città e di cittadinanza, recuperando fiducia e autorevolezza, tornando alla bella politica, alla capacità di tenere insieme innovazione e inclusione. Forse anche prendendo atto che i partiti non ne saranno capaci” (“Repubblica Liguria”, 7 luglio 2017)

LA DESTRA, IL PROGETTO E LA PARTECIPAZIONE
Con i grillini chiusi nella loro conclamata purezza e con le liste civiche divise, l’unica alternativa in campo è risultata questa destra. La spinta leghista e più estremista si fa sentire su questioni “identitarie”, come l’”anti-antifascismo”: un compromesso e non una rottura sulla mozione “antifascista” era doveroso. Ci sono riusciti in Comune a Genova, perché non a Spezia? La mozione approvata sul Crocifisso nei locali pubblici e nelle scuole è emblematica di questa spinta: appenderlo negli edifici che dovrebbero essere comuni, cioè di tutti, credenti, non credenti, musulmani, taoisti, buddisti, è la negazione della norma che ha abolito “la religione cattolica come religione di Stato”. Il quale Stato non può essere ateo o religioso, deve essere semplicemente “neutrale” e creare le condizioni perché tutti possano esercitare la propria libertà di coscienza e di religione. Il Sindaco dovrebbe contrastare questa spinta. Ma la questione fondamentale, come detto, è il progetto. E la partecipazione al progetto. Le cartine di tornasole sono le aree Enel e il waterfront: subalternità al mercato o rinnovato ruolo del pubblico? Decisionismo o coinvolgimento dei cittadini? Dopo anni di paralisi capisco che la destra dica: “Finalmente è arrivata la politica del fare”. Ma il problema non è fare, è fare bene. Con il rilancio di una politica di programmazione e di partecipazione democratica.

Post scriptum
Per sei settimane, fino al 18 marzo, d’intesa con la direzione di “Città della Spezia”, la rubrica “Luci della città” sarà sospesa. Al suo posto, ogni domenica, i lettori interessati troveranno la rubrica “Samarcanda. Diario dalla Via della Seta”, reportage di un viaggio di studi con l’amico storico Franco Cardini, alla ricerca delle radici dell’incontro tra Oriente e Occidente. Un racconto del passato, ma che ha a che fare con il nostro futuro globale.