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Fantasmi dal passato

L’ingegner Morandi e quell’allarme inascoltato del ’79

Il crollo del Ponte Morandi

In uno studio risalente al 1979 (poco meno 40 anni fa) l’ingegner Riccardo Morandi – progettista del viadotto crollato nella mattinata dello scorso 14 agosto – aveva avvisato i suoi colleghi in merito a quelli che sarebbero stati i primi effetti della salsedine e dell’inquinamento sulla struttura del ponte: «Si corrode, va protetto».

Come già accennato, nel “lontano” 1979 l’ingegner Morandi aveva effettuato uno studio relativo agli effetti di salsedine, inquinamento e agenti atmosferici sulla struttura del “suo” viadotto genovese… ma a conti fatti nessuno pare averlo ascoltato.Come riporta l’edizione di oggi del quotidiano “La Verità”, all’interno del suddetto studio – intitolato “Il comportamento a lungo termine dei viadotti sottoposti a traffico pesante situati in ambiente aggressivo: il viadotto sul Polcevera, a Genova” -, Morandi scrisse: «Penso che prima o poi, e forse già tra pochi anni, sarà necessario ricorrere a un trattamento per la rimozione di ogni traccia di ruggine sui rinforzi esposti, con iniezioni di resine epossidiche dove necessario, per poi coprire tutto con elastomeri ad altissima resistenza chimica». Secondo le parole di Morandi, infatti, la stessa struttura «viene aggredita dai venti marini (il mare dista un chilometro) che sono canalizzati nella valle attraversata dal viadotto. Si crea così un’atmosfera, ad alta salinità che per di più, sulla sua strada prima di raggiungere la struttura, si mescola con i fumi dei camini dell’acciaieria e si satura di vapori altamente nocivi». Le superfici esterne delle strutture – ma soprattutto quelle esposte verso il mare (più direttamente attaccate dai fumi acidi dei camini) in questo modo avrebbero iniziato a «mostrare fenomeni di aggressione di origine chimica», vale a dire «una perdita di resistenza superficiale del calcestruzzo».

Era “solo” il 1979 quando l’ingegnere ha mandato questo “allarme corrosione”, insistendo sulla necessità di proteggere la superficie in calcestruzzo del ponte al fine di accrescerne la resistenza chimica e meccanica all’abrasione e suggerendo anche l’utilizzo di resine e di elastomeri sintetici. Ma è evidente che i suoi segnali, purtroppo, siano rimasti inascoltati.

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