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La ceramica di Ponzano: da insediamento industriale a polo artigianale e culturale

Ex Ceramica Vaccari

La ricetta di una pastasciutta cucinata con sugo cosiddetto “ortolano” (patate, bietole, zucchine, carote e cipolle), a volte, può rappresentare la strada di accesso alla riscoperta di un mondo del lavoro diverso da quello tradizionale. La ricetta, riproposta l’altro sabato a Ponzano Magra, era quella proposta il 1° luglio 1945 agli operai della ceramica ligure Vaccari il primo giorno della riapertura della mensa aziendale all’indomani della guerra, finita da un paio di mesi. Un particolare, se si vuole, ma i particolari aiutano a comprendere la realtà. Come quella, appunto, dello stabilimento ceramico di Ponzano Belaso, che la gestione pluridecennale della famiglia Vaccari portò a livelli di eccellenza internazionali, prima della crisi degli anni Settanta, quasi un sintomo degli aspetti negativi della futura globalizzazione. In quell’azienda – come sta scritto nella copertina del libro “La ceramica di Ponzano: da insediamento industriale a polo artigianale e culturale”, presentato appunto l’altro sabato in quello che fu a lungo il capannone della “calibratura” – “al centro dell’impresa è l’uomo, la persona umana”. Sono parole che l’industriale Eugenio Vaccari scriveva nel 1950, alla vigilia del boom economico del nostro Paese, aggiungendo: “Quanto più è garantita la tranquillità del lavoro e potenziata la responsabilità lavorativa, tanto più sicura è la solidità economica di questa”. Proprio a queste parole si è riferito monsignor Paolo Cabano, parroco di Santo Stefano Magra e responsabile diocesano per le attività culturali, per sottolineare come i Vaccari operassero con convinzione all’interno dei principi della dottrina sociale cristiana, anticipando quasi alla lettera concetti che san Giovanni Paolo II avrebbe per così dire “codificato” nell’enciclica sociale “Laborem exercens” del 1981. L’esperienza sociale della Vaccari non si limitava alla mensa aziendale o all’ascolto diretto degli operai da parte dei dirigenti, ma si allargava a tutte le dimensioni della vita, dalle case operaie all’asilo nido e persino alla chiesa, costruita proprio all’ingresso della fabbrica, con il primo parroco assunto quale cappellano dello stabilimento. Non a caso, all’inizio del pomeriggio, l’imprenditoria sociale dei Vaccari è stata paragonata a quella degli Olivetti di Ivrea, benché sinora assai meno conosciuta di quella. Era, a suo modo, la dimostrazione di come l’impresa privata potesse legittimamente competere con la cosiddetta industria di stato, avviata al tempo del fascismo e poi conclusasi con la “prima Repubblica”. Giancarlo Pietra, che alla Vaccari lavorò con impegno per molti decenni, ha ricostruito in modo puntiglioso aspetti e vicende di quegli anni, e il convegno di presentazione del libro, pubblicato dall’accademia “Capellini” della Spezia, ha rappresentato un ulteriore arricchimento di quel quadro. Resta forse, anche alla luce di quanto sinora emerso, da approfondire le ragioni vere del crollo progressivo, e poi definitivo, di quella esperienza. E’ un tema di grande interesse che merita dunque di essere ripreso perché può rappresentare un motivo di riflessione anche per l’attualità.

EGIDIO BANTI