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"La cultura non abita più alla Spezia. Ma potrebbe tornare"

di Paolo Marcesini

Import 2020

Cos’è e a cosa serve la cultura alla Spezia? Siamo sicuri di saper dare una risposta vera e di senso compiuto a questa domanda? Intanto sui social si dibatte. Leggo che è scomparsa dalla nostra città, e questo è drammaticamente vero. Altri dicono che è una vergogna perché la cultura è necessaria ma non sanno spiegare bene il perché. Leggo che qualcuno si lamenta perché hanno riaperto pub e ristoranti ma nessuno fa nulla per la cultura e altri che propongono patti con i pub e i ristoranti proprio per rilanciare la cultura e già qua mi perdo perché non vedo il nesso tra le due cose.

Ma di cosa parliamo quando parliamo di cultura alla Spezia? Abbiamo mai analizzato il suo mercato, la sua capacità di creare posti di lavoro, il suo pubblico e le vocazioni che la descrivono? Conosciamo il suo valore tangibile e intangibile misurato tra identità, coesione, benessere e intrattenimento? A queste domande prima o poi andrebbe data una risposta. Una volta mi è capitato di scrivere, “Io sono cultura altrimenti non so chi sono”. Ieri come oggi mi sembra un buon punto di partenza per spiegare a cosa serve la cultura. L’io della frase è la somma dell’impegno individuale di tutti, nessuno escluso. Perché fare cultura significa prima di tutto essere una Comunità.

Alla Spezia però la cultura è sparita. Siamo (forse) l’unica città capoluogo di provincia a non avere un assessore alla cultura e quindi a non esprimere una reale politica culturale e la sua governance pubblica, una volta chiusa l’esperienza dell’istituzione culturale, è regredita ad una sorta di amministrazione corrente che nulla può fare se non prendere atto del poco che esiste e resiste.

Eppure non è sempre stato così. In passato ho avuto qualche ruolo pubblico che mi ha consentito di guardare più da vicino allo sviluppo delle politiche culturali della città. Posso testimoniare un periodo storico di grande fermento di cui ormai abbiamo perso le tracce. È passato un po’ di tempo, ma non così tanto. Adesso so che abbiamo spento la luce e la città non se lo merita.
Metto in fila qualche occasione perduta.

Alla Spezia è stato fondato grazie a Tiberio Nicola detto il “Tibe”, il primo Festival Jazz. Sono venuti a suonare qui tutti i grandi del mondo. Eppure non si è formata una comunità e un indotto che identifica questa come una città della musica. E pensare che oltre al jazz abbiamo un Conservatorio, una prestigiosa stagione dei concerti al teatro Civico e un gemellaggio con Bayreuth la città di Wagner e del suo festival.

Ho citato il Teatro Civico e non posso non ricordare una figura strepitosa e vulcanica come quella di Antonello Pischedda che alla città ha restituito gran parte delle sua energie, del suo saper fare, delle sue relazioni e delle sue idee. Non ho conosciuto personalmente nessuno dei due ma quello che hanno realizzato fa parte di una storia che non dobbiamo dimenticare. Una storia da cui ripartire.

Spezia è una città di mare eppure non è mai diventata una città protagonista della cultura del mare. La Festa della Marineria, al netto delle polemiche della sua ultima edizione, è stato il tentativo fallito di unire tutta la città attorno alla sua tradizione più antica. Un tentativo a cui non sono mancati l’impegno, le risorse e la visione. Eppure abbiamo un porto commerciale economicamente rilevante, un porto turistico che con il fenomeno delle navi da crociera apre le porte alla scoperta di uno dei territori più belli del mondo, un porto militare con una tradizione storica prestigiosa segnata dalla presenza in città del Museo Navale. La nostra città è prima di tutto il suo mare. Non ha mai avuto un Festival, ne dovrebbe avere almeno uno per essere la casa che racconta, valorizza e descrive la cultura di “questi posti davanti al mare” come direbbe Ivano Fossati. Ma sogno ad occhi aperti, lo so.

Spezia ha provato ad essere una città dell’arte. C’è stata una stagione di grandi aperture museali, il Lia, il Camec, la Palazzina delle Arti, con importanti investimenti pubblici che, malgrado la presenza in città di molti artisti capaci di interpretare i linguaggi del contemporaneo, non hanno sviluppato un pubblico in grado di poter giustificare ulteriori investimenti in mostre ed eventi capaci di comunicare la nostra offerta museale e con lei i nostri talenti al di fuori della provincia. Di più, non esiste in questa città un luogo dove le tante intelligenze ed esperienze creative che comunque ci sono possono diventare lavoro, sistema, opportunità di crescita, laboratorio, scambio di esperienze. Cosa aspettiamo a farlo?

Spezia è stata la città di Exodus. Mi è capitato spesso di raccontare in giro per l’Italia questa straordinaria storia universale di solidarietà, accoglienza e coraggio. Una storia non conosciuta che da sola avrebbe potuto definire questa come la città della memoria e dell’incontro. Il Premio ha vissuto alti e bassi come evento ma non è mai stato sentito dalla città come simbolo identitario di appartenenza. Ormai non ne sento più parlare. E questa oltre ad essere una mancata occasione è anche un’offesa alla nostra memoria.

Il Gabbiano, una importante galleria d’arte che per mezzo secolo è stata protagonista in città e non solo del racconto dei nuovi linguaggi dell’arte grazie al mecenatismo e alla passione di chi l’ha gestita ha chiuso per la motivata stanchezza dei suoi fondatori. Non si è levata una voce pubblica o privata per dire che questo enorme patrimonio non doveva e non poteva essere disperso e nessuno si è fatto avanti per aiutare la buona volontà (che so esistere) di chi avrebbe potuto continuare un lavoro così importante che ha portato prestigio alla nostra città.

Insomma di quale “cultura” parliamo in questa città? Perché tutte queste occasioni perdute? Perché il grande impegno di chi ha voluto negli anni scorsi la crescita culturale della città deve essere così facilmente e velocemente dimenticato?

Eppure sappiamo che se tornassimo ad accendere la luce sul buio pesto della nostra identità culturale potremmo trovare un piccolo tesoro. Certe volte basta guardare a città diverse ma a noi molto vicine per capire che le occasioni perdute con poco possono tornare ad essere occasioni di Rinascimento.
Uso questa parola importante proprio perché è di un Rinascimento che abbiamo bisogno.

Sto passando una vita a cercare di raccontare il valore di un investimento pubblico e privato in cultura e creatività, a definirne l’importanza per il Pil dei nostri territori, il valore di coesione per le nostre comunità, l’occasione di generare ricchezza e buona occupazione, a distinguere tra patrimonio e intrattenimento, a esprimere il suo essere fattore competitivo per altri mercati a partire da quello del turismo.

Perché non possiamo farlo anche alla Spezia?

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