- Dominò quel giro da cima a fondo, dal prologo di Bari fino a Milano. Era l’epoca di Gianni Bugno, della classe universale, quella che batteva Mottet o Pulnikov. Si definì lui stesso,un giorno, un’Aquila solitaria. Lo trovarono anche positivo, disse solo che ‘ero positivo, e infatti non ho mai detto di essere innocente. Ma non mi è andato giù che cercassero di farmi smettere per la piccola colpa che avevo commesso. Ho lottato per non avere due anni di squalifica, poi si è visto che problemi aveva il laboratorio di Roma’. Ma quello del 1990, 26 maggio in Piazza Europa, per la tappa che avrebbe portato a Langhirano, era un altro Bugno, l’idolo di un’Italia che risognava.”Ho stravolto la normalità del ciclismo: quando mi aspettavano non c’ero, ci sono stato quando non mi aspettava nessuno. Un indecifrabile: lo sapete, il primo a non capirmi sono io”. Ha vinto quel che basta per entrare dove pochi possono entrare e quello del 1990 fu il suo unico giro d’Italia chiuso in rosa. Ma quella mattina, davanti a gente stordita dalla sua forza, e davanti ai Razzuoli ed ai Torriani o allo stesso Sindaco Montefiori, fece quello che doveva fare un uomo di mare; lui, che in fondo veniva dalla natia Svizzera, anche se era cresciuto brianzolo. Si mischiò ai marinai e mise cappello e solino, facendosi fotografare di buon grado.