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Spezia calcio

Moschetti: "A Spezia andò male, ma che brividi quel pubblico"

Dopo gli anni belli di Livorno e Pontedera, il mediano con il vizio del gol arrivò nell'ultimo anno di Blengino: “In ritiro eravamo senza pantaloncini: ci diedero i bermuda e capimmo che sarebbe stata dura...”

Paolo Moschetti, da calciatore e da tecnico

Ha vestito l’amaranto del Livorno ed il bianco dello Spezia, anche se la sua carriera è senza dubbio più legata ai toscani che non al Golfo dei Poeti. Paolo Moschetti è però uno di quei giocatori che, nonostante l’annata in riva al Golfo sia stata disastrosa a livello di squadra, non ha mai difettato dal punto di vista dell’impegno e del sudore. Doti che, in ogni caso, al Picco non passano inosservate. Oggi è in attesa di una panchina, lui che si è già seduto, tra le altre, su quelle di Massese, Camaiore, Forte dei Marmi tutte tra Serie D ed Eccellenza. “Ora sono alla finestra – conferma a CDS l’ex mediano che abita a Seravezza – ma non è semplice, oggi contano molto anche gli sponsor a certi livelli. In ogni caso non mi dispiacerebbe nemmeno un settore giovanile, qualche contatto c’è stato”.

Non solo Spezia e Livorno come tappe della sua carriera calcistica ma anche Pontedera, Pavia, Trento e Cuoiopelli. A Pontedera faceva parte della squadra che superò 2-1 la nazionale di Sacchi e là i tifosi lo ricordano ancora per lo spettacolare gol segnato nel match decisivo per la promozione in C1 alla Maceratese, grazie ad una cavalcata iniziata nel cerchio di centrocampo ed il tiro che gonfia la rete. “Ero un mediano che in campo dava sempre tutto – ricorda -. Ho legato la mia carriera principalmente alle piazze di Livorno e Pontedera dove ho vinto campionati. Nonostante fossi un mediano soprattutto di quantità in quei due anni feci qualcosa come 27 reti. A Livorno ero già stato anni prima tra C1 e C2, poi l’intermezzo di Pavia con Achilli presidente che successivamente rilevò il Livorno che, nel frattempo, era ripartito dall’Eccellenza. Fu proprio in D che vincemmo il campionato ed io segnai un sacco di reti”.

Poi l’esperienza allo Spezia finita con l’ultimo posto ed una traumatica retrocessione.
“Era lo Spezia di Blengino e del ds Cappelli, livornese. Fu proprio lui a portarmi in maglia bianca, mi disse che dovevo mettermi a disposizione perchè c’erano giocatori importanti e quindi lo spazio non poteva essere garantito. Io accettai con entusiasmo perchè la piazza è importantissima. Qualche nome? C’era Provitali che doveva essere il colpo di mercato, poi ricordo Affuso, Dalla Costa, Cecchini, Battistini, Bianchi, Garau, Signorelli. Nomi importanti”.

Che problemi c’erano?
“Alla fine non percepimmo più di una o due mensilità e facemmo vertenza. A parte qualcuno, non avevamo grandissimi ingaggi e stare quasi tutta la stagione senza stipendio non era semplice. Ricordo che in ritiro a Pontremoli si capiva che le cose non stavano andando per il verso giusto. Il primo giorno ci ritrovammo senza pantaloncini da gioco. Si attivarono per farli arrivare e ad un certo punto venne una persona che ci consegnò dei bermuda da mare cercando di convincerci che erano pantaloncini. Da lì capimmo che la stagione sarebbe stata in salita…”.

Blengino che tipo era?
“Era una persona colta e devo dire anche piacevole al di fuori del campo. Ma da un punto di vista calcistico era assolutamente di un altro pianeta. Cappelli invece era uomo di calcio e aveva le sue esigenze che Blengino non poteva assecondare e di lì nacquero contrasti anche pesanti”.

Tutto da buttare, quindi, di quella stagione 96/97 terminata con l’ultimo posto e la retrocessione?
“Sicuramente si poteva fare meglio. Io ero venuto per completare la rosa ed invece giocai diverse partite (anche un gol su rigore in Prato-Spezia 3-1, ndr) perchè ero uno di quelli che non si tirava indietro ed ero abituato a metterci la faccia. Di quella stagione mi dispiace soprattutto per i tifosi. Ricordo che al Ferdeghini c’era sempre tanta gente agli allenamenti, i tifosi giustamente se la prendevano con noi ma in quella situazione non era semplice. E’ una piazza che per calore può essere paragonata a quella livornese. E poi al Picco nelle partite di cartello era uno spettacolo: sentivi il calore dello stadio, una passione incredibile che faceva venire i brividi quando scendevi in campo”.

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