LA REDAZIONE
Scrivici
PUBBLICITÀ
Richiedi contatto
Migliaia in tutta europa

Campi sintetici e plastica nei mari, allarme della Fifa

I terreni artificiali potrebbero contribuire all'inquinamento marino se non utilizzati correttamente secondo un report della Federazione mondiale. Tanti materiali sintetici che rischiano di disperdersi e manca uno standard per riciclarli a fine vita.

Il nuovo campo da calcio di Falconara

I tifosi con qualche anno di anzianità alle spalle lo chiamano “calcio moderno”. E’ fatto di tessere, fidelizzazioni, documenti d’identità, limitazioni alle trasferte, tanta televisione (anche dentro gli spogliatoi) e di terreni di gioco sintetici. E’ destinato anch’esso un giorno a lasciare il posto a una versione di sé stesso ancora più nuova e a ricevere il biasimo dei nostalgici. Quel giorno, ciò che avrà lasciato alle sue spalle è una strada lastricata di plastica. Perché l’erba al colorante è una marea montante che non ha mancato di travolgere anche l’Italia, soprattutto per quel che riguarda le categoria non professionistiche.
Una rapida carrellata sulla realtà spezzina conferma il trend. L’ultimo è lo stupendo “Piero Bibolini” di Falconara a picco sul mare, ma anche il mitico “Tanca” a Mazzetta (ora in rifacimento) non ha erba naturale, e così il “Cimma” di Pagliari e il “Pieroni” alla Pieve (dedicato al rugby). Fuori dal capoluogo ci sono i campi di Beverino e Follo, giusto per citarne due. E ovviamente il centro sportivo “Ferdeghini – Intels”, con il suo campo a undici che da anni ospita la Viareggio Cup e le giovanili aquilotte e gli altri due terreni secondari. Senza contare il “Picco” stesso, in percentuale minore visto che si tratta di un campo “misto”.

Tonnellate di materiale plastico che un giorno, neanche troppo lontano, andrà smaltito. Un problema di dimensioni continentali se si pensa che negli ultimi dodici anni sono 3.437 in centocinquanta Paesi diversi i campi in materiale sintetico che sono stati certificati dalla Fifa, che li divide tra Quality Pro (l’eccellenza) e Quality. I materiali usati per i campi di terza generazione, i più comuni, sono quasi sempre gli stessi. L’erba è composta di polietilene, la plastica comune per così dire, innestata su uno strato di polipropilene a sua volta appoggiato su un manto di poliuretano. A questo va aggiunto il componente principale, ovvero un doppio intaso di sabbia e granuli sintetici, anche questi di materiale plastico, che rappresenta più dell’85% del tutto. Infine, in certi casi, un ulteriore tappeto che assorbe l’energia cinetica degli atleti contribuendo al confort degli atleti.

Il primo problema sollevato da uno studio commissionato dalla Fifa sul destino dei campi artificiali dopo l’utilizzo è che solo una piccola percentuale dei produttori ha sviluppato una procedura di riciclaggio insieme al prodotto. Esistono già tecniche per separare le diverse componenti e destinarle a una fine consona (riutilizzo, riciclaggio e incenerimento per le eventuali parti organiche), ma per adesso non esiste uno standard. La ricerca è in corso – la Danimarca fa scuola – mentre i campi sintetici continuano a crescere di numero, soprattutto in Europa che già vanta i tre quarti di tutti quelli presenti sul pianeta.

L’intaso è l’anello debole del sistema. Si calcola che l’83% degli intasi presenti nei campi sintetici sia costituito da gomma SBR, quella dei pneumatici per intenderci. Questi granuli possono rimanere attaccati agli scarpini e alle casacche dei giocatori così come al corpo, per finire poi in una lavatrice o negli scarichi delle acque grigie attraverso le docce. O ancora, dilavati verso i corsi d’acqua dalla pioggia o spazzati via insieme alla neve nei paesi con climi rigidi. Sono tutte dispersioni accidentali difficili da quantificare e su cui incide il modo e il grado di coscienza con cui vengono utilizzati da gestori e giocatori.
Il pericolo che si corre è che questo materiale finisce in mare, contribuendo potenzialmente (servono studi specifici, tuttoa in corso) alla presenza di quelle microplastiche che oggi sono additate come una delle più gravi minacce all’ecosistema marino. Solo gli oltre 3mila campi certificati Fifa “perdono” ogni anno tra le 4mila e le 16mila tonnellate di intaso secondo le stime. Chiaramente non tutto finisce in mare, ma è un dato che fornisce la misura del rischio. Tanto più che i campi Fifa rappresentano solo un decimo di tutti i campi sintetici presenti nel mercato mondiale dello sport.

Alcune le soluzioni che si stanno vagliando per abbattere l’impatto ambientale dei terreni sintetici. Il primo è l’uso sempre più massiccio degli shock pad, il tappeto che può essere piazzato alla base degli strati per creare il campo. E’ provato che la sua presenza limita la quantità di intaso necessaria per simulare l’elasticità dei terreni naturali. Altra alternativa che sta prendendo quota è quella di usare il sughero (a volta misto alla fibra di cocco) come intaso: un materiale organico al cento per cento che peraltro ha nel Mediterraneo, e in Italia, alcune delle maggiori zone di produzione. Considerando il boom dell’erba sintetica, presto sarà un problema di non poco conto che riguarderà anche le municipalità e non solo i club professionistici e le federazioni.

Più informazioni