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Sinistra italiana

"La Spezia nel Paese in cui, senza mondiali, tutti giocano a fare Dio"

Le considerazioni di Emanuele De Luca

Soccorso ai migranti

La nave Aquarius, dopo quattro giorni di difficile navigazione, è finalmente arrivata al porto di Valencia. Il neoinsediato governo spagnolo ha proposto abilmente le sue infrastrutture come possibile soluzione a una fase drammatica dove alla cinica e strumentale presa di posizione del governo Conte e del ministro Salvini, ha fatto seguito un prevedibile immobilismo dell’Unione Europea, così come la posizione ipocrita di Emmanuel Macron, promotore dei recenti respingimenti di Ventimiglia, Bardonecchia e Monginevro.

La provocazione del governo a trazione leghista di dichiarare chiusi i porti italiani ha generato da una parte molti consensi, sintetizzabili in un “finalmente qualcuno che si fa rispettare in Europa”, ma dall’altro molti dissensi. Dissensi che in poche ore hanno portato a dichiarazioni simboliche di alcuni sindaci e a presìdi e manifestazioni in decine di città: da Napoli a Milano, da Torino a Palermo, Bari, Roma, Bologna e molte altre, lo slogan #apriamoiporti è stato scandito con forza, ribadendo che le frontiere devono rimanere aperte sempre, tanto più di fronte ad una situazione tanto delicata.

Anche La Spezia ha preso parte a questa mobilitazione. Nonostante la pioggia e il preavviso di poche ore, martedì pomeriggio più di cento cittadini e cittadine, molti arrivati con i loro figli, si sono radunati presso il Molo Italia per rivendicare in primo luogo il dovere di soccorrere, di accogliere chi lo chiede e da qualunque parte del mondo provenga. Abbiamo denunciato la vergogna di una strumentalizzazione politica messa in piedi da questo governo che ha giocato e continua a giocare sulla vita di quelle persone, come fossero pedine da spostare a piacimento sullo scacchiere geopolitico: una mossa puramente propagandistica che fa leva su una presunta “invasione”, smentita nei fatti e nei numeri ma chiamata in causa ogniqualvolta si debba raccogliere consenso.

Tuttavia non bisogna nascondersi dietro a un dito: nonostante la risposta pronta, forte e decisa di tanti concittadini è percepibile un ampio plauso alla forzatura imposta dal governo. Lo certificano i commenti cha hanno fatto seguito all’iniziativa spezzina e ancora visibili sui social: insulti, generalizzazioni, luoghi comuni e falsità tradotti in frasi di una violenza irricevibile e alternati ad esaltazioni dello “statista” Salvini. Non vale la pena riprenderli qui, anche perché nell’era digitale chiunque si sente in dovere di far sapere a tutti la propria opinione insultando, banalizzando e dando sfogo alle peggiori pulsioni.

Risulta molto più appassionante ed efficace continuare a promuovere, su un tema tanto decisivo come l’immigrazione, momenti di discussione e riflessione pubblici e collettivi nella nostra città. Non può più sorprendere, infatti, che gli ultimi sviluppi politici a livello locale e nazionale abbiano come “liberato” le coscienze deluse da anni di recessione economica e che oggi riversano apertamente rabbia e odio sociale verso soggetti come i migranti. Soggetti di certo non responsabili dell’impoverimento della classe media, delle disuguaglianze, della precarietà, del taglio del welfare e della sanità, per la condizione deleteria di molte scuole pubbliche – solo per fare alcuni esempi. Eppure questo senso comune si è consolidato in modo trasversale, bypassando apertamente le distinzioni destra/sinistra, e che mai si pone, se non ipocritamente, il tema umanitario e democratico, il diritto di tutti e tutte a spostarsi in cerca di nuove opportunità, le ragioni per cui “si scappa”. Tutto si piega ad un razzismo diffuso: a volte feroce a volte banalizzato, in ogni caso ampiamente sottovalutato. E così “i migranti sono troppi”, “accogliamo solo i rifugiati”, “ci costano troppo”, “prendeteveli a casa vostra”, “andate dai terremotati” sono solo alcune delle locuzione più di moda, argomenti sempre buoni per spiegarsi, forse inconsciamente ma non meno brutalmente, che gli stranieri non piacciono, urtano. E in ogni caso “prima gli italiani!”.

Di questo senso comune attinge a piene mani la retorica del governo – punto apicale di anni di pessima gestione del fenomeno sia a livello politico che sociale e discorsivo, dalla legge Turco-Napolitano alla più recente Minniti-Orlando -, tacciando per “buonismo” ogni ricorso alla solidarietà, alla comprensione dei fenomeni complessi e strutturali, al racconto di quelle storie. E così, in questo smottamento valoriale, il problema delle campagne del sud non è coinvolgere quelle migliaia di uomini e donne – oppressi da un caporalato diventato sistemico eppure in grado di condurre lotte, costruire reti di socialità e sindacalismo – in nuove forme di cittadinanza, ma eliminare dalla vista gli “schiavi”, non farli più venire, chiudere la “tratta”. Scompaiono, inoltre, gli uomini italiani che uccidono le donne non più in loro possesso; scompaiono i compagni di scuola dei figli, le badanti. Si decide di vedere solo un pezzo di realtà mentre viene proposta un’idea di paese “puro”, dove ogni “nativo”, per diritto di sangue, gioca a fare Dio, a decidere se lasciar vivere o morire, se un essere umano può o non può stare in questo o quel posto, cosa possa o non possa fare a prescindere dalle competenze, professionalità, attitudini, dalla sua storia.

Non possiamo arrenderci, tantomeno nella nostra città, a questo clima, a questo ordine del discorso. A questa cultura dell’odio. A un processo miope che continua abilmente a non voler identificare i colpevoli.

Prima di tutto ci sono gli esseri umani e il loro diritto a spostarsi in cerca di una vita migliore; la messa in discussione delle frontiere europee come dispositivi di filtraggio selettivo. Da qui, da questa linea di umanità che va tracciata, non si faccia un passo indietro.

Emanuele De Luca

Sinistra Italiana – La Spezia

(fot: repertorio)

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