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Economia

Sindacati compatti: "No all’Enel versione “usa e getta”"

Richiamo a Federici: "Solleciti un tavolo di confronto, la città non può essere esclusa. Lo sviluppo industriale sostenibile va pensato insieme".

centrale Enel

“Le parole del Direttore della Enel Country Italia ing. Carlo Tamburi sono pietre che rischiano di seppellire, in un breve arco di tempo, la complicata storia di un rapporto fra Enel e la città durato più di 50 anni. Confermando l’avvio della procedura di chiusura dei gruppi a gas e ribadendo con “enfasi” l’annuncio di anticipare la fine produzione a carbone
entro il 2021, l’Enel pensa di ricevere dal nostro territorio il “semaforo verde” verso un suo progressivo disimpegno rispetto agli scenari produttivi futuri che interessano l’area di sua proprietà, un’area di 70 ettari, che da decenni ospita la centrale di Vallegrande per un servizio essenziale di interesse nazionale. Noi non siamo d’accordo”.
Ci sono tutte le firme sindacali, dalla Filctem-Cgil alla Flaei-Cisl, dalla Uiltec-Uil a Fisal-Fedenergia e Rsu Aziendali, sotto il lungo comunicato stilato dopo lo sciopero dello scorso 19 giugno a difesa dei 400 posti di lavoro. “Non solo. Siamo consapevoli che la vertenza Enel coinvolge direttamente gran parte delle forze sociali economiche ed ambientali della città.
Soprattutto oggi che abbiamo di fronte un passaggio storico della vertenza che è paragonabile solo al momento dell’insediamento della Centrale negli anni ’60 ed alla sua prima ambientalizzazione con l’introduzione del gas alla fine degli anni ’90. Tutti noi dobbiamo misurarci con una domanda semplice e fondamentale: come può una comunità, che ospita un così importante insediamento energetico, essere messa nelle condizioni ottimali per avviare una riconversione produttiva della sua area migliorandone sia gli obiettivi ambientali che occupazionali”.

Secondo i sindacati per raggiungere l’obiettivo tutti i soggetti interessati devono svolgere il
proprio ruolo e non sfuggire alle proprie responsabilità, a partire dall’azienda e dal governo.
“Ad Enel chiediamo di cambiare l’atteggiamento.Deve sostituire la sua frettolosa fuga dalla Spezia con la massima disponibilità a concorrere, mettendo a disposizione investimenti e know how, per trovare soluzioni condivise capaci di dare concretezza al progetto di
riconversione ambientale e produttiva dell’area. Non condividiamo l’accelerazione unilaterale dell’azienda effettuata negli ultimi mesi che ha inserito, oltre al tema della totale dismissione della Centrale Enel a al 2021, anche la successiva possibilità di un’ulteriore anticipo sulla chiusura”.

Ma perché Enel chiuderebbe? I sindacati hanno le idee chiare: “Il motivo principale della sua scelta risiede nel timore che la Centrale “Eugenio Montale” non sia in grado per il futuro di garantire il business economico come è sempre stato dagli anni ’60 fino ad oggi. Da cio’ è partito il disimpegno sotto il profilo ambientale in contraddizione con l’Aia ottenuta meno di 18 mesi fa’. Infatti oggi l’Enel, mentre conferma, dopo un difficile travaglio, gli investimenti nelle performance ambientali per rispettare i limiti in vigore nel rossimo 2016, parallelamente annuncia che questi saranno gli ultimi, perché è sua precisa volontà
rinunciare ad ulteriori investimenti di adeguamento dell’impianto per rispettare i limiti di emissione previsti per il 2020. Una scelta che, se confermata nel prossimo piano industriale, decreta la chiusura certa entro il 2021″.

Il grido d’allarme è disperato. Le sigle sindacali chiedono all’azienda di non far mancare gli
investimenti per gestire l’impianto con le migliori performance ambientali possibili e capace di rispettare la progressiva restrizione dei limiti di emissione: “Lo abbiamo sempre chiesto in passato, lo facciamo per oggi e per il futuro. Questo è il tratto distintivo del nostro coniugare ambiente e lavoro. L’azienda da una parte investe nei mercati emergenti perchè garantiscono
maggiori ricavi con meno vincoli ambientali. Dall’altra, nei mercati “maturi”, come il nostro, previlegia gli investimenti nella rete e nelle rinnovabili. In questo contesto gli chiediamo di non far mancare le risorse per il sito spezzino, di realizzare una riconversione produttiva, di un nuovo modello di sviluppo compatibile chedavvero può rappresentare il fiore all’occhiello di un’azienda internazionale ma, ricordiamocelo tutti, “Made in Italy””.

Altra preoccupazione non da poco. Le parole dell’ingegner Tamburi sottendono un disimpegno anche sotto il profilo occupazionale, perché confermano la delocalizzazione dei posti di lavoro diretti e la cessazione dei contratti per l’indotto. “Il risultato è che, fra una settantina di mesi nell’ipotesi migliore, mancheranno ulteriori 400 posti di lavoro per le famiglie che risiedono nella nostra provincia. Inoltre l’azienda non esclude, a causa di percorsi autorizzativi ambientali terzi, scenari di dismissione anticipati rispetto al 2021. Così facendo elude i termini del confronto in atto sul piano nazionale di ricollocazione del
personale in esubero, ciò è davvero inaccettabile. Se passa la logica che da una parte si hanno tempi certi di chiusura delle attività produttive e dall’altra si compensano le ricadute negative affidandosi ai “concorsi di idee” in un dialogo diretto azienda/territorio, non ci sarà
nessuna speranza per i lavoratori e nessuna miglioria per l’ambiente”.

Solo il governo può scongiurare questo scenario e i sindacati si appellano a Roma, perché questa non è soltanto una partita spezzina: “Tra le azioni da intraprendere bisogna prevedere
un tavolo permanente di settore presso la presidenza del Consiglio tra MISE/Ambiente – Associazioni Datoriali e OO.SS., per valutare quali centrali dovranno garantire la stabilità elettrica del Paese e quali regole proporre per favorire la valorizzazione dei siti delle centrali da dismettere. Il governo deve abbandonare i facili slogan e mettere a disposizione dei territori gli strumenti necessari, sia in termini di risorse economiche che di interventi legislativi per affrontare l’attuale emergenza a partire dal sostegno alle aziende che investono nelle bonifiche dei territori e nelle riconversioni industriali con tempi certi per non interrompere la continuità produttiva”.

In ultimo il richiamo al sindaco Federici, sollecitato a dar concretezza alla costituzione immediata di un tavolo di confronto con tutti i soggetti interessati: “La città deve essere coinvolta in questa vertenza, perchè dentro di essa c’è la sfida per la sua identità futura, l’idea di società solidale, che promuove lo sviluppo industriale sostenibile, che sa’ coniugare in chiave moderna le ragioni dell’ambiente e del lavoro” – concludono i sindacati e le Rsu aziendali.

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