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Cultura e Spettacolo

La Resistenza come valore universale, il Classico al Passo del Rastrello

I ragazzi del Classico al Passo del Rastrello

“È notte profonda, ma non nevica più, ora. Le stelle brillano tutte nuove e innumerevoli: guardo l’Orsa, le Pleiadi, Orione. Delineo l’orientamento verso casa.”
È il cielo della Russia che sovrasta il tormentato ritorno di Mario Rigoni Stern durante la ritirata dell’esercito italiano in rotta, ne “Il sergente nella neve”. Ma è lo stesso cielo che illumina le notti di neve in cui si nascondono i “ribelli della montagna” durante gli anni della Resistenza.
Lo stesso che, più di 70 anni dopo, sulle stesse montagne, verdi di primavera, attira il nostro sguardo in insperati squarci d’azzurro.
Le costellazioni familiari guidarono il passo di Mario Rigoni Stern quella notte in Russia, accompagnato fuori dall’isba dal calore muto dell’ospitalità semplice e piena della vecchia Magda. Una generosità popolare così simile a quella che fu rifugio dagli inverni impietosi che resero ancor più ardua la lotta partigiana.
“Abbiamo scelto di lottare / contro oppressione e violenza / con la limpida forte gente di queste valli.”
Così è scritto al Memoriale alla Libertà e alla Pace al Passo del Rastrello.
Siamo sotto il cielo che accolse nei suoi pleniluni i racconti e i canti di una gioventù che non poteva rinunciare a se stessa in nome della guerra e della morte, sotto il cielo modellato sulle montagne che videro le sue imprese disperate ed eroiche, che tramandano il loro sapore di speranza di vita. Di libertà, di pace.
I nostri passi si intrecciano ai loro, calpestando orme cancellate nella terra ma vivide ai nostri occhi che li seguono su sentieri invisibili.
La nebbia che due anni fa ci aveva accolto qui si è dissolta. Oggi vediamo nitidamente i monti e sappiamo immergerci nella loro immutabilità. Se questi boschi sono gli stessi di allora, respirarne lo stormire è ascoltare le loro voci impigliate nei rami.
Altre voci si sovrappongono alle loro, festanti, 73 anni dopo, a pochi giorni dalla data della Liberazione. Le Autorità – negli interventi del Sindaco di Zeri, Petacchi, del rappresentante del Presidente della Provincia di Massa Carrara, Lorenzetti, e della Provincia di La Spezia, Cozzani, e del Vice Prefetto Vicario di Massa, La Rosa – spronano a una memoria priva di retorica, autentica, che sappia essere la luce della partecipazione alla democrazia della Repubblica, frutto più maturo della Resistenza. Gli studenti delle scuole di Zeri, Sesta Godano e Zignago, accompagnati dai loro Sindaci con la fascia tricolore, raccontano le storie di partigiani, ne leggono i nomi, ne animano le voci: dal Colonnello del Comando Unico della IV Zona Operativa, che abbracciava questo territorio, Fontana (Turchi), che riuscì a rendere un esercito unico le bande di irregolari che erano salite ai monti, al giovanissimo Piero Borrotzu, consegnatosi spontaneamente alla fucilazione per salvare i civili rastrellati, al grido di “viva l’Italia libera!”.
Il secondo Risorgimento, la sua urgenza di rendere davvero l’Italia una e indipendente, si spiega davanti a noi nelle voci dei bambini che, oggi, definiscono l’atrocità della guerra. Mentre leggono, ci sono tutti quei volti con noi, nell’Anfiteatro che vuole rappresentare l’arengo politico e il necessario confronto tra le diverse idee che chi combattè contro il nazifascismo volle tanto da sacrificare a questo ideale la sua stessa vita. Il suo futuro per il nostro. La loro gioventù per la nostra, libera di essere tale.
Le parole del Professor Paolo Galantini, co-Presidente del Comitato Unitario della Resistenza, ci dicono dell’universalità della guerra, del dolore uno di tutti i popoli del mondo, e soprattutto dell’universalità dei valori di umanità che tanto più forti si ergono ad annullarne la violenza: ci fanno sbirciare dentro le isbe di una Russia sommersa di neve, attraverso le porte delle case che si aprono ad accogliere gli Alpini italiani (i nemici invasori!) allo stremo delle forze, e dentro le finestre illuminate dei paesini che abbiamo attraversato per salire qui, scaldate dalla dolcezza dimenticata che accoglie i giovani armati che presidiano le montagne. Vediamo queste bolle di pace nella cruda, insensata tempesta della guerra.
Guardiamo i visi dei partigiani seduti a tavola, al lume di una cena frugale ma calda. Hanno la nostra età, il nostro desiderio di vivere la loro vita, di darle un senso, di sognare il futuro che desiderano.
Nell’immaginare i loro visi alla luce delle parole che li ricordano, scopriamo ancora un filo della trama che ci rende tutti figli della stessa storia, dello stesso destino: il Professore rimarca che nella Resistenza italiana furono più di 5000 i combattenti russi, ex prigionieri di guerra che si liberarono all’indomani dell’8 Settembre 1943 e che, nell’impossibilità di far ritorno al loro Paese, scelsero di combattere con noi contro l’oppressore nazifascista, proprio come accadde al Maggiore inglese Gordon Lett che, al di là di quelle montagne, formò con altri ex-prigionieri il Battaglione Internazionale. Addirittura quattro di loro furono decorati postumi con la Medaglia d’Oro al Valor Militare, la più alta onorificenza dello Stato.
Uno di questi partigiani sovietici è Fedor Andrianovic Poletaev e il Professore ha voluto emblematicamente rinnovarne le gesta affinché tutti possano sapere: figlio di agricoltori, operaio, combatté nell’Armata Rossa; catturato dai Tedeschi, fu portato nel Lager di Vjaz’ma, quindi in Polonia, infine trasferito in Italia. Qui prese contatti con alcuni esponenti della Resistenza e, fuggito con altri prigionieri dal campo, raggiunse i partigiani sull’Appennino Ligure. Poletaev cadde valorosamente per la nostra libertà, con la dignità e il coraggio che contraddistinguono gli Eroi. Questa la motivazione della Medaglia d’Oro:
“Deportato russo in Italia, fuggito dal campo di concentramento tedesco dove era internato, per raggiungere le formazioni partigiane cui lo univa la stessa fede nei principi di libertà. Combattente esemplare per disciplina e per ardimento, durante un attacco in forze da parte del nemico, si portava, consapevolmente ma incurante del certo sacrificio della sua vita, con una pattuglia da lui comandata a tergo del grosso della formazione avversaria, aprendo il fuoco di sorpresa e intimando a viva voce la resa. Il nemico, sotto l’imprevisto e temerario attacco, si sbandava arrendendosi. Nell’epico episodio, che costò al nemico molte perdite e molti prigionieri e che capovolse le sorti della giornata, cadeva per l’ideale della libertà dei popoli.” – Cantalupo Ligure, 2 febbraio 1945
Una figura davvero leggendaria, elevata al rango di Eroe dell’Unione Sovietica: «Decreto del Presidium del Soviet Supremo URSS
per conferire il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica al soldato dell’Esercito Sovietico Poletaev F. A. per l’eroismo e il coraggio dimostrati nella lotta contro gli occupanti nazi-fascisti combattendo nel distaccamento di Partigiani italiani durante la II. Guerra Mondiale, si conferisce al soldato dell’Esercito Sovietico Poletaev Fëdor Andrianovic il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica.
Presidente del Presidium del Soviet Supremo L. Brežnev
Segretario del Presidium del Soviet Supremo M. Georgadže»
— Mosca, Cremlino, 16 dicembre 1962
Un caso forse unico con queste due massime decorazioni conferite al Valor Militare – “Alla memoria”.
“Il dovere di ricordare ci impone di riaffermare qui la profonda gratitudine che ci lega e ci legherà per sempre al Popolo russo, in virtù dell’immenso sacrificio offerto nella II Guerra Mondiale affinché la barbarie fosse sconfitta e nella riconquistata libertà ogni persona potesse vivere in pace e in ricordo di quell’umanità profonda di cui ci ha meravigliosamente parlato Mario Rigoni Stern nel magistrale ritratto della vecchia Magda.”

“Siamo morti sognando
una sovrana pacifica Europa
invocando grandi decisive solidarietà
fra popoli e razze.”
Così leggiamo ancora al Memoriale.
“Non fate che volontà e sogni
rimangano solo utopia
non dimenticate.”
Il professor Galantini parla a noi, adesso, a noi ragazzi che dovremo realizzare pienamente il sogno della vita, nostra, in cui vivranno anche coloro che la loro, di vita, l’avevano sognata così. Ci sprona a leggere oltre i nomi incisi nella pietra di cui ci svela le storie mentre scendiamo verso valle, come i partigiani di allora fecero per liberare, paesino dopo paesino, la nostra terra, quel 25 aprile del 1945.
Vittorio Brosini, Ezio Grandis, Giovanni Pagani, Ermanno Gindoli… Seguiamo lo scorrere tumultuoso delle loro vite, dalla farmacia di Brugnato dove iniziava la vita partigiana fino a Spezia, fino alla Liberazione.
Un percorso di anni. Il loro, il nostro. Il prendere coscienza del nostro vivere con gli altri, per gli altri. Del loro vivere per noi, e ancora in noi.

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