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I progetti scartati

La Cattedrale di Cristo Re poteva essere questa

Ecco cosa era uscito dalle matite degli architetti nel 1930 per dare alla Diocesi di Luni una nuova sede. Bocciati gli spezzini Oliva e Costa, vinse il veneziano Del Giudice. Ma la sua chiesa non fu mai costruita.

La delusione della giuria per le proposte arrivate rimane nella storia. Impressa nelle parole del relatore Ugo Ojetti, che riportava l’opinione di una giuria dove sedevano due pesi massimi come Gustavo Giovannoni e Alberto Calza-Bini tra gli altri. Uno il direttore della Regia Scuola di Architettura di Roma e l’altro segretario generale del Sindacato Architetti, entrambi sodali di Marcello Piacentini, massima autorità del regime fascista nel campo. Non c’erano nei progetti per la nuova cattedrale della Spezia gli slanci degni di una “diocesi nuova ma d’antichissima nobiltà” e di una città “per armamento, traffico e lavoro modernissima”.

Quella che oggi suona alle orecchie come una retorica piuttosto pesante e stereotipata, servì nel 1930 per accusare di eccessiva retorica le quasi cento proposte arrivate a Giovanni Costantini, vescovo e artista, che aveva un anno prima bandito la gara per la fabbrica sacra che avrebbe simboleggiato la nuova vita della diocesi di Luni, da lui riordinata negli anni precedenti. I concorrenti “si erano mostrati anche troppo ligi agli antichi esempi”, disattendendo secondo la giuria la “libera facoltà di dare al sacro edificio qualsiasi forma e qualsiasi espressione artistica”. Un tradimento del calcestruzzo armato, che iniziava in quei tempi a diventare di moda, e della modernità insomma.
Alla ricerca di “forme semplici ed austere”, la giuria alla fine aveva deciso di non decidere. Delle venti opere accolte, cinque passarono alla seconda fase che avrebbe dovuto portare a un vincitore. Queste erano le proposte di Tommaso Buzzi di Milano, Luigi Danieri di Genova, Domenico Sandri di Roma, Vincenzo Pilotti di Pisa, Giuseppe Vaccaro e Emanuele Cito Filomarino di Roma e infine Brenno Del Giudice e Guido Cadorin di Venezia.

Eliminati senza appello Raffaello Bibbiani, allievo di Piacentini, e lo spezzino Franco Oliva, che ha lasciato in città tante testimonianze (da Palazzo Civico al Conservatorio). Ai due si da conto di “conoscere bene il luogo”, giocando in casa, ma anche di aver creato “un portale sproporzionato al corpo della chiesa”. Nessuna miglior sorte per l’altro spezzino Manlio Costa, che di lì a poco avrebbe abbracciato i princìpi del Futurismo. Viene apprezzato “lo slancio delle tre profonde arcate nel secondo piano” ma gli avancorpi sono “inutili” e “le varie parti non si fondono in un aspetto equilibrato e memorabile”.
Per gli altri, gli appunti sono di aver reso troppo evidenti i richiami alle varie San Marco di Venezia, Sant’Andrea di Mantova e Sant’Andrea di Vercelli, Santa Maria in via Lata a Roma, l’Abbazia di Chiaravalle e perfino ai palazzi “in stile mussulmano eretti dai Normanni a Palermo” e così via.
In seconda battuta sarebbe poi stato scelto il progetto del veneziano Brenno Del Giudice, ma la costruzione della cattedrale ritardata. Nel Dopoguerra infine ci avrebbe pensato Adalberto Libera a creare la Cattedrale di Cristo Re in stile razionalista che tutti conosciamo. Il prossimo anno si festeggeranno 45 anni dalla consacrazione, avvenuta nel 1975. Sicuri che quei giudici non avrebbero potuto tacciare il disegno di scarso coraggio e desiderio di innovazione. Gli spezzini non smettono di discuterne.

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