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"Il silenzio dei colpevoli", Pollicardo racconta la prigionia in Libia

Il tecnico monterossino presenta il libro al quale ha voluto affidare il ricordo di quei terribili 228 giorni.

Gino Pollicardo e Filippo Calcagno

Si intitola ‘Il Silenzio dei colpevoli. Libia: 228 giorni nella mani dei rapitori’ (Mursia), ed è da oggi in libreria, il libro memoriale di Gino Pollicardo, il tecnico italiano rapito il 19 luglio 2015 insieme a tre colleghi durante il trasferimento per raggiungere il posto di lavoro in Libia.
Un rapimento per mano di militanti tunisini dell’Isis, durato 228 giorni, finito tragicamente per Salvatore Failla e Fausto Piano, uccisi in circostanze mai del tutto chiarite, e con l’autoliberazione di Pollicardo e Filippo Calcagno.
Pollicardo sarà domani, 20 maggio alle ore 17,30 in piazza del Municipio a Monterosso,il paese dove vive, per la prima presentazione del libro che sin da titolo punta il dito sul silenzio che ha coperto e continua a coprire la vicenda.
Nel libro Pollicardo, con il tono mite e pacato che lo contraddistingue, ripercorre quei sette mesi di disperazione e tormento, le violenze fisiche e psicologiche dei carcerieri, l’angoscia di non sapere chi e come stava trattando la loro liberazione, la preoccupazione per le famiglie, la fede come unico sostegno.
Una prigionia che non è finita con la liberazione e il rientro in Italia perché, come scrive Toni Capuozzo nella post fazione: «Certe prigionie non finiscono mai, se non c’è verità». E la verità su questa vicenda non è mai stata detta.
Molte le domande che Pollicardo fa: perché è stato cambiato all’ultimo momento l’itinerario di viaggio? Chi ha trattato per la loro liberazione? Perché l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, con la piena consapevolezza che quattro italiani erano tenuti prigionieri in quel luogo, ha acconsentito a un’azione militare americana che, di fatto, li condannava a morte? Perché le famiglie dei rapiti sono state lasciate sole? Perché i sopravvissuti hanno dovuto aspettare due giorni nel posto di Polizia di Mellitah prima che si facesse vivo qualcuno della Farnesina, ai cui vertici era allora Paolo Gentiloni? E ancora: perché non è stata data loro nessuna assistenza medica una volta arrivati in Italia? Perché nessuno li ha mai informati degli sviluppi dell’inchiesta giudiziaria?
«Su questa vicenda è sceso il silenzio. Il silenzio è dei colpevoli, di chi forse teme che la verità esca allo scoperto, di chi teme di ammettere che siamo stati vittime di terrorismo sebbene, col passare dei mesi, sia emerso che i delinquenti che ci hanno rovinato la vita per 228 giorni fossero parte di una colonna tunisina dello Stato Islamico. Il silenzio di chi teme che a noi, reduci da questa esperienza, sia concessa la possibilità di capire il perché.» scrive Pollicardo con la speranza che qualcuno dalle istituzioni finalmente gli risponda.

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