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Il sabato del Miraggio

Tutti in piazza

di Salvatore Di Cicco

Manifestazione di piazza

Una volta era parola d’ordine: tutti in piazza. Di solito si trattava di protesta (politica, sociale) e ritrovarsi insieme serviva a dare maggior peso alla rivendicazione del giorno. Condividere problemi e proporre soluzioni alternative non era solo una questione politica ma era il modo di realizzare se stessi come elemento della società.
Oggi la piazza è vuota. A parte casi particolari (Grillo e simili) l’uomo del terzo millennio preferisce le pantofole e al massimo si fa vivo sui social network per far sapere la sua opinione su qualsiasi argomento. Ma questa sua presenza virtuale non va oltre la somma delle singolarità che forma la platea internautica. Un po’ come accade al tifoso di calcio che preferisce vedere la partita in tv ma si accorge che allo stadio è tutta un’altra cosa.
No, non ci siamo. La piazza è da sempre la culla del pensiero di massa, oltre che il salotto dove lo scambio delle idee porta più facilmente a formarsi una coscienza collettiva il cui spessore non deve fare i conti con strettoie di alcun genere e la propria individualità non viene umiliata e annullata dall’anonimato virtuale.
Tornare in piazza, quindi, vuol essere solo un invito alla reazione contro la pigrizia, fisica e mentale, che da troppo tempo sembra aver bloccato il nostro tessuto nervoso, teso più ad assorbire che a proporre qualcosa di nuovo.
Oggi, di fronte a tante ingiustizie (palesi e occulte) non vediamo una reazione istintiva, un desiderio di punire i colpevoli, una voglia di pulizia morale della società.
Questa, forse, è la constatazione più avvilente. Le giovani generazioni sembrano insensibili ai mille scandali che punteggiano l’Italia da Nord a Sud. Come si fa a non reagire a simili violenze ai danni di chi ha creduto e crede in una società giusta e vive la sua vita nel segno del rispetto e della riconoscenza per chi ha creduto e lottato per certi valori.
Tutti in piazza significa, quindi, liberarsi della pigrizia e di quel senso di rinuncia a partecipare, a combattere per un ideale che sembra una malattia senza medicine. Liberarsi di tutto questo vuol dire anche sentirsi più leggeri, liberi di muoversi e di correre lungo i verdi prati della speranza e del futuro.
Al contrario, le piazze virtuali sono fin troppo piene di gente che non ha niente da perdere se non il proprio tempo. Per qualsiasi sciocchezza si mobilitano per far conoscere al popolo in attesa la propria opinione, anzi la propria “posizione”, dimenticando di essere solo un numero: il numero al quale si rifanno poi i soliti furbi per gridare ai quattro venti la loro capacità di farsi ascoltare o vedere sul web.
Tornare in piazza diventa perciò anche il modo migliore per riprendersi il diritto alla propria individualità e alla propria capacità di partecipare attivamente alla vita sociale. Il modo migliore, insomma, per tornare ad essere se stessi.
Questa, infatti, sembra essere la questione di fondo. Chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo sono domande vecchie come il mondo. Riprendiamocele e usiamole per dire e dare qualcosa di nuovo a noi stessi e agli altri.