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Il sabato del Miraggio

Il capro espiatorio

di Salvatore Di Cicco

Import 2014

La nottata non passa. Il buio della crisi ci tormenta e non vediamo segni di ripresa, se non qua e là ma senza quella carica di rinnovata fiducia nel futuro. I numeri ci dicono che l’ottimismo non è di casa dalle nostra parti ma non dobbiamo farci prendere dallo scoramento. Intanto, non pensiamo ai miracoli ma a quello che possiamo fare noi, nel nostro piccolo, magari “inventandoci” qualcosa di nuovo per fare fronte ai bisogni più urgenti.
Ma siamo sicuri che la maggioranza degli italiani viva davvero una condizione così deprimente? I dubbi, in proposito, ci sono e non sono pochi. Perché si lamentano tutti, anche quelli che in apparenza non sembrano risentire più di tanto degli effetti della crisi. Viene allora da pensare che ci sia gente che “ci marcia”. Forse per non sentirsi “diversi” o per non mettere in mostra la propria condizione di favoriti dalla sorte, quelli che riescono a sopravvivere senza grandi contraccolpi alla crisi che avanza non fanno altro che scaricare sulla crisi quel senso di frustrazione che in alcuni casi sfiora la disperazione ma che in altri si trasforma in occasione vantaggiosa.

Sì, perché se qualcuno piange qualcun altro ride ma è bravo a nascondere la propria soddisfazione dietro la maschera della protesta comune. “È colpa della crisi!” si sente ripetere ad ogni occasione. Gente che magari ha accumulato ricchezza nel tempo, non ha vergogna ad unirsi al coro generale pur sapendo bene che il suo problema è solo quello di guadagnare un po’ meno di prima.
Non solo. Si prende la crisi come punto di riferimento per dimostrare che si fa fatica a mettere insieme il pranzo con la cena e, nel frattempo, si continua a lucrare su questa o quella situazione vantaggiosa. Insomma, si usa la parola “crisi” come capro espiatorio e come maschera dietro la quale nascondere i propri interessi privati. Per non dire di coloro (e non sono pochi) che continuano a non fare il proprio dovere di cittadini, cioè a non pagare le tasse e a caricare perciò sugli altri il peso sociale di un fisco che proprio per questo appare insopportabile alla gran parte dei contribuenti.

Ci ritroviamo perciò in un giro vizioso dal quale sembra impossibile uscire. Si tratta dunque di una mentalità che deve cambiare ma che per cambiare ha bisogno innanzi tutto dell’esempio che venga dall’alto. E qui non troviamo davvero segnali positivi in questo senso. Scandali piccoli e grandi, al contrario, non aiutano a rafforzare quello che viene chiamato “senso dello Stato” e a sentirsi, quindi, parte dello Stato stesso.
Qui sta il punto. Non possiamo dare sempre addosso agli altri quando siamo i primi a “tradire” lo Stato con i nostri egoismi da quattro soldi che impediscono di sentirci quello che rivendichiamo solo quando parliamo di diritti, cioè cittadini nel senso più profondo del termine. Quando capiremo tutto questo, potremo finalmente pretendere non solo i nostri diritti ma soprattutto il nostro rispetto.