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Il Cielo sopra La Spezia

Le carampane, lo schiena ed un caffé shakerato

miticoltori

Martedì ho avuto un’idea meravigliosa: pausa pranzo in un borgo marinaro del nostro Golfo dei Poeti. Un piccolo paradiso: parcheggio facile, poca gente in spiaggia, sabbia pulita, sole caldo e vento leggero, cielo terso, sul filo dell’orizzonte Palmaria e Tino come in dagherrotipo tardo romantico, acqua un poco fredda, ma giusta per il primo bagno di stagione.
Cosa chiedere di più alla vita? Sono momenti che s’imprimono in modo indelebile nella nostra mappatura genetica, perché il corpo entra in uno stato di autentica estasi, altro che centri benessere. Ed il pensiero vaga, tra il compiacimento ed il compatimento per i poveri milanesi che in quell’ora mangiano i loro risotti sconditi e cotolette striminzite, di corsa ed in mezzo a smog e cemento. Siamo fatti così, noi spezzini, non ci basta il godimento fine a se stesso, semplice, senza dare noia a nessuno: è il pensare che è a scapito di qualcuno che lo rende ancora più completo.

Proprio perché si trattava di pausa pranzo, verso le 14:00 io e la mia dolce metà abbiamo pensato di concederci un pasto tipicamente marino, in uno di quei locali che danno proprio sugli scogli, di fronte al mare, che fanno tanto Costa Azzurra de noi altri.
Così, ci siamo seduti ad uno dei tavolini all’ombra, già pregustando le insalatone e le birrette.

E qui inizia davvero questo pezzo, il testo scritto sino ad ora era solo prologo di colore.
Una cronaca di uno psicodramma, vissuto da testimoni oculari e che sarà raccontato nel modo più oggettivo possibile.

Intanto, gli attori: iniziamo dalle Carampane degli scoglietti. Donne molto in là con gli anni, con i corpi in pieno processo di disfacimento irreversibile (la cosa incredibile è che indossano con arroganza bikini difficili da portare anche per concorrenti a Miss Italia), e la pelle avvizzita e cotta dal sole già a maggio, perché passano dodici ore il giorno su uno scoglietto arroventato che occupano sin dalle prime luci dell’alba, e che, di fatto, considerano di loro proprietà personale. Trascorrono tutta la giornata malignando ferocemente di questo e di quello e, nei momenti di pausa, leggendo riviste femminili. Non lo confesseranno mai, ma tra loro si odiano e godono degli acciacchi reciproci, anche se di facciata sono tutte squittii e sorrisetti. La loro bontà d’animo è simile a quella di uno squalo bianco, e la loro gentilezza mutuata da mercenari serbo/bosniaci.

Abbiamo poi il proprietario del bar: farà solo una piccola apparizione, ma significativa, all’arrivo di mia moglie Francesca e mio. Ci scruterà dalla testa ai piedi con un’espressione palesemente disgustata e che sembra voglia dire “ma che cazzo ci siete venuti a fare qui?”, e poi svanirà nel nulla, senza dire una parola, come se fosse evaporato.

Il cameriere, un ragazzo di circa vent’anni, che chiameremo lo Schiena, perchè è il classico “schiena” spezzino. Lo ha scritto in faccia, in come cammina, nella voce: nella vita, non avrà mai voglia di fare niente.
Infine, un gruppo di turisti americani.

Il fatto: io e mia moglie siamo seduti da circa venti minuti. Lo Schiena non è ancora venuto al nostro tavolo a prendere le ordinazioni, sordo ad ogni tipo di richiami da parte nostra (sta adottando la rodata tecnica che insegnano all’alberghiero, un trainig autogeno che consiste nel fare finta che il mondo sia stato colpito da una pandemia micidiale e quindi sono tutti morti tranne lui). Concentratissimo, è intento a servire gli americani, lanciando letteralmente panini e bibite sul loro tavolo e rispondendo in spezzino a domande in inglese, il tutto condito con classicissime bestemmie in dialetto a mò di punti e virgole.

Senza alcun preavviso, una della Carampane posizionate sugli scoglietti ad un metro da noi, si tira su con la grazia di un ippopotamo con la sciatica, e con un misto di disprezzo per i subalterni e di finta confidenza democratica (un fare, secondo lei, nobiliare, quasi fossimo a Montecarlo), chiede allo Schiena, che nel frattempo sta sparecchiando (naturalmente smadonnando e con gesti inconsulti) un tavolo esondante di piatti e bicchieri che, a giudicare dalla qualità dei residui alimentari, sono evidentemente vecchi di una settimana, se può portarle un caffé shakerato. E con zucchero di canna, non bianco.

Subito lo Schiena si volta con uno scatto verso la carampana, e le urla in faccia le seguenti affermazioni:

1. che lei non può essere servita sugli scoglietti,
2. che lui è in servizio dalla mattina alle 9:00 (dalle 9:00, mica alle 6:00 con il primo turno in catena di montaggio!) ed ha già servito, udite udite, trenta persone!
3. che se lei vuole, può anche andare da un’altra parte.

Tutto questo con un tono tale da guadagnarsi una testata in mezzo agli occhi anche da un cherubino pre raffaellita (sicuramente un vaffanculo secco avrebbe fatto minor effetto!).

Per qualche istante, il volto della Carampana diventa rosso vermiglio, ma subito torna a quel colore standard ed indescrivibile, risultato di un mix di fondotinta ed ustioni solari prolungate.
Allora, ella comincia ad inveire con una straordinaria scientificità nella ricerca del luogo comune. Citiamo a memoria: e poi dicono che c’è la crisi, i giovani d’oggi sono tutti maleducati, ma come si permette, le sembra questo il modo, con una signora poi, vi meritereste che qui ci venissero solo gli extracomunitarii, e via dicendo. Il tutto, amplificato dalle altre decine di carampane sodali con la vittima (le carampane sono evidentemente molto corporative), improvvisamente apparse dal nulla e trasformatesi in un coro di Erinni.
Questa rappresentazione, a metà tra farsa e tragedia, per fortuna non dura a lungo, perché lo Schiena, vero destinatario degli strali, nel frattempo è sparito. Appena se ne rendono conto, le vecchie cariatidi trasformano il loro osceno canto in un brusio sommesso e si rimettono a prendere il sole.

Sembra tutto finito, ma il colpo di scena è in agguato. Passano altri dieci minuti buoni (è mezz’ora che siamo seduti senza che nessuno ci abbia chiesto cosa desideriamo e siamo ormai assaliti dai morsi della fame e della sete), e lo Schiena riappare reggendo un vassoio sul quale troneggia una coppa di caffé shakerato. Con un atteggiamento molto simile a quello di James Bond, se James Bond fosse nato al Favaro, dichiara alla Carampana, in ordine:

1. che si scusa per averle risposto male
2. che il motivo della sua scortesia è che lui è molto stanco per avere servito già 30 persone
3. che il caffè è offerto dal lui

La Carampana allora si alza di nuovo, ergendosi in tutto il suo splendore dei suoi settant’anni di pellacce bruciacchiate, capelli tinti, denti finti e borse sotto gli occhi vacui e, con voce stridula, dichiara trionfante alle colleghe:”Avete visto? Questo qui ha capito di essere stato un cafone! Ed io il caffé me lo pago”. E getta, con un gesto sprezzante, due euro sul tavolino. Lo Schiena a quel punto si accorge che io e mia moglie esistiamo e ci getta un’occhiata incredula. Non se ne capacita: innanzi tutto della sua gentilezza, e poi della reazione della vegliarda. E per non sapere né leggere, né scrivere, scompare. Lo rivedremo mezz’ora dopo in spiaggia, tutto preso da un’epica disfida a racchettoni. Attività nella quale eccelle, si nota alla prima occhiata.

A parte il fatto che è tutto da vedere se il caffè shakerato costa due euro, ognuno di voi tragga le sue conclusioni, la sua morale su questa storia.

Per conto mio, faccio propria la frase di mia moglie, che non eccede mai ed è una delle donne più fini del globo (la battono solo Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany e poche altre), ma che di fronte a questa storia ha dichiarato:
“Certo che ci poteva sputare dentro il caffé! Tanto non si vede, è shekerato.”

Buone vacanze nel Golfo dei Poeti!