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Il Cielo sopra La Spezia

Chi non occupa, preoccupa!

editoriale

Confesso che nel 1985 ho violato la legge. Ed anche nel 1990 e 1993.
Nel 1985 ho occupato la mia scuola, il Liceo Scientifico Pacinotti della Spezia, nel ‘90 e nel ‘93 la Facoltà di Lettere e Filosofia di Pisa. Mi autodenucio, una volta per tutte, e, uscendo da questa latitanza ormai ventennale, attendo serenamente che la giustizia faccia il suo corso. O forse è già trascorso il periodo utile per la prescrizione? Se è così, evviva l’impunità!
Inoltre, dal 1985 e per almeno una quindicina buona di anni, ho partecipato a centinaia di riunioni, dibattiti, assemblee, manifestazioni di piazza, anche a qualche vero e proprio atto di terrorismo, come blocchi stradali e di binari ferroviari.
Nonostante questa ingombrante fedina penale e scarso senso di responsabilità dimostrato, in questi giorni fremo di felicità nel vedere gli studenti che sfilano per le vie delle città e che occupano scuole e facoltà: godo proprio!
Sono cosciente di essere recidivo, fazioso, un triste residuato bellico e di non rappresentare esattamente il cittadino modello in auge ai giorni nostri, ma che devo fare?
Ho sempre guardato poca televisione ed appartengo, a volte anche mio malgrado, ad una minoranza che i sondaggi, quelli delle percentuali sudamericane di consenso, nemmeno contemplano.
Quelli che sono sempre contro, che non gli va mai bene niente. I rompicoglioni di professione, insomma.
Inoltre, fa molto gioco una certa dose di nostalgia. Sì, perché quando provo a ripercorrere con la mente la mia storia personale, se devo salvare dei momenti, dei ricordi, degli istanti di vita legati alla mia gioventù, i migliori sono proprio quelli che riguardano il mio lontano passato di occupante.
Mai mi sono sentito così vivo, creativo, felice, attivo, intelligente, appagato, coraggioso, libero, come durante quelle esperienze. Mai mi sono riconosciuto così parte di un progetto, membro di una comunità, rotella consapevole di un ingranaggio virtuoso ed umano. Mai ho provato sentimenti così forti di amicizia, fratellanza, condivisione, amore per il mio prossimo. Ed anche di rabbia, indignazione, insofferenza, paura. Tra quei muri pieni di manifesti, quelle aule piene di volti e parole veri, dentro quei saccoapeli luridi, mi sono sentito davvero un individuo completo, salvaguardato nella sua personalità all’interno di un contesto collettivo, in cui le differenze e le diversità erano ricchezze condivise ed armonizzate in una prospettiva comune.

Se avessi un figlio di 16 anni, sarei contento se in questi giorni si trovasse attivamente tra coloro che occupano. Sarei contento per lui e per me.
Non ho figli, però, questo è solo un desiderio di paternità (malsano, diranno in molti).
Forse, fra qualche anno il mio vero figlio sarà tra quelli che non occuperanno perché “i motivi della protesta sono giusti, ma i metodi sono sbagliati”. Quante volte l’ho sentita, questa frase. Anche dopo assemblee di Facoltà o di Istituto in cui partecipava la maggioranza degli iscritti e le mozioni per le occupazioni passavano con percentuali tra l’80% ed il 90%. Democrazia reale, ragazzi, dove si mette in gioco la faccia. Non sondaggi, come va di moda adesso.
Oppure, non occuperà perché i movimenti studenteschi non avranno più nessuna ragione di esistere, perché la scuola sarà diventata davvero la scuola di tutti, pubblica, democratica, formativa, plurale, con strutture e spazi funzionali, insegnanti ben pagati ed appagati, genitori contenti e ragazzi svegli, preparati e con reali possibilità di un futuro. Purtroppo, abbiamo imparato a non credere più alle utopie realizzate, e probabilmente fra quindici anni l’Istruzione pubblica del nostro paese sarà stata definitivamente distrutta da politiche “bipartisan”, da chiunque ci sarà al governo del Paese.

Perché di fatto il processo di distruzione della scuola, dell’università e della ricerca in Italia è iniziato molto tempo fa, sempre in modo “bipartisan”, con fasi più o meno aggressive, e sta andando avanti.
Sino alle fondazioni private che si sostituiranno alle università pubbliche, alle scuole pubbliche così prive di risorse, insegnanti e qualità che saranno frequentate solo dalla classi sociali più deboli e dagli immigrati (naturalmente in aule separate); sino ai ricercatori precari che saranno sempre più precari, a meno che non mettano al servizio di qualche multinazionale il proprio cervello ed il proprio stomaco; sino al totale strapotere dei baronati universitari, in un perenne, geriatrico festino di sprechi, privilegi e clientele.
Per arrivare ad un livello generale di cultura ancora più superficiale di quello attuale, con un popolo sempre più istupidito dalla televisione, dai luoghi comuni, dall’ignoranza e dalla paura.

Questo orrendo futuro potrà essere modificato, o almeno attenuato, rallentato, solo se gli studenti, ancora una volta, scenderanno in piazza, occuperanno scuole ed università e magari si prenderanno, e speriamo di no, la loro dose di democrazia del lacrimogeno e del manganello. E’ sempre stato così. Come in questi giorni, a prescindere dalla minacce, dal ritornello trito e ritrito delle strumentalizzazioni dei cattivi maestri e delle infiltrazioni dei pericolosi sovversivi, dalla bugie e dalle manipolazioni di chi sta ai piani alti.

L’altro giorno sono entrato in una scuola occupata, il mio vecchio liceo, il Pacinotti.
Ci sono entrato come giornalista, con curiosità ed un poco d’apprensione, e ci sono uscito più sereno, più sollevato. E con un po’ di calore nel cuore: quello della speranza.
Me lo hanno regalato quei ragazzi del Pacinotti, con i loro occhi puri ed ingenui.
Loro sono la parte sana di questo Paese.
Chi non occupa, preoccupa. Un vecchio slogan della Pantera del ‘90. Per non scomodare sempre il ‘68.

Marco Ursano