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I racconti della domenica

Una domenica

di Roberto Baldelli

La tana dei Filobus

Giulia posò il libro sul comodino, spense la luce e sparì sotto al lenzuolo. Il giorno seguente l’attendeva, come ogni domenica, uno dei pochi piaceri che la vita poteva ancora riservare ad un’anziana zitella come lei. A dire il vero era ben conscia che fosse un piacere molto particolare e, per gli altri, difficile da comprendere. Il condominio di periferia dove risiedeva era abitato quasi totalmente da persone anziane, molte delle quali sole al mondo, ma la riservatezza e forse anche il timore di immergersi in esistenze grigie come la sua le avevano impedito di andare oltre ai saluti ed a qualche scambio di frasi di cortesia. La domenica però accadeva qualcosa di prodigioso: la signora Dina, sua vicina di casa, riceveva la visita del figlio che, con moglie e due vivacissimi bambini, si tratteneva a pranzo e a cena. Le voci che filtravano dalla parete della cucina, il rincorrersi dei fanciulli, i festosi saluti per le scale rompevano il cupo silenzio che regnava abitualmente nel palazzo e rendevano Giulia felice. Felice perché nella famiglia della signora Dina vedeva quella che avrebbe potuto essere la sua: sentendo quelle voci le sembrava di essere a tavola con loro e persino il suo insipido brodino serale acquistava sapore. Forse molte altre persone, al suo posto, avrebbero provato invidia o magari malinconia. Per lei era diverso: avrebbe anzi dato chissà cosa per poter partecipare personalmente a quei pranzi festosi, ma le era sempre mancato il coraggio.
Mentre aspettava il sonno posò lo sguardo sulla poltrona accanto al letto, illuminata da un freddo raggio di luna che filtrava attraverso le tende candide: era lì che un tempo dormiva
Puccy, l’unico vero affetto ricambiato che ricordava.
Quando la lasciò, Giulia aveva deciso di non prendere con sé altri animali: sapeva che il suo cuore malandato non le avrebbe consentito di vivere ancora per molto e mai avrebbe voluto che qualcuno, neppure un cane, soffrisse per la sua morte. Morire sapendo di non lasciare dolore alle proprie spalle: l’unico privilegio concesso dalla solitudine.
Il mattino seguente fu svegliata dal suono delle campane: si sentiva più decisa del solito e stabilì che stavolta avrebbe accettato l’invito della signora Dina. Con grande entusiasmo iniziò a preparare uno dei dolci che le riuscivano meglio: per una volta ci sarebbe stato qualcuno ad apprezzare il suo lavoro. Fu forse l’agitazione, o magari quello che molti chiamano destino: la fitta al cuore le dette appena il tempo di raggiungere il letto. La signora Dina stava bussando ed i nipoti la chiamavano allegramente: il rimpianto velò di lacrime i suoi occhi scuri, ma dopotutto era felice che fosse accaduto di domenica.

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