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I racconti della domenica

L’attore

di Chiara Bodrato

I nuovi racconti spezzini

Giacintina Belcolle sognava di diventare un’attrice, sua madre la scoraggiava dicendole che non era la strada per lei.
“Oggi giorno il cinema non vale proprio niente, è fatto di violenza, esaltazione dell’immoralità, un mucchio di sudiciume; è meglio starne lontano… è un mondo di profittatori” le diceva spesso.
“Ma io non voglio quel cinema di cui tu stai parlando! Voglio il cinema dei grandi interpreti, il cinema come arte!”
“Ma non sarai tu a decidere! Andrai in mano a gente che ti userà dicendoti che lo scandalo e la pornografia sono arte! O l’unico modo di far soldi!”
“Vieni a sentire Chris Tapfer, il grande attore! Terrà una conferenza in sala Dante domani alle 17, potremmo anche parlargli!”
Dopo che Giacintina l’ebbe pregata di andarci la signora Belcolle acconsentì anche se a malincuore. In sala Dante non vi era molta affluenza e la ragione era forse che il grande
attore non era più sulla cresta dell’onda.
Giacintina era però entusiasta di vederlo e attendeva con ansia che cominciasse ad illustrare l’argomento della sua conferenza. “Il cinema come espressione di arte e di vita”
era un titolo che anticipava grandi cose. La signora Belcolle cominciò a studiare l’oratore che, al suo ingresso, era stato salutato da un applauso. Durante la presentazione da parte dell’assessore alla cultura, ebbe modo di notare la sua espressione (non era seduta molto lontano dal palco). Prese poi il binocolo da teatro per vederlo meglio.
Quando era in piedi si presentava molto bene, alto, con corpo statuario e movenze studiate, quando era seduto, ed era allora che la signora Belcolle poteva guardarlo in viso, rivelava lineamenti belli ma duri, folti capelli castani, senza dubbio tinti, un po’ lunghi.
Poteva avere settant’anni e, secondo Marina Belcolle come del resto secondo la maggioranza della gente, non era più nella fascia di età per fare il dongiovanni o le parti di attore giovane.
Quando cominciò a parlare mise l’accento sul ruolo dell’attore che doveva avere prima di tutto classe e poi capacità di identificarsi con il personaggio che interpretava.
“Un attore,” aveva esordito “deve essere come me, pieno di bellezza e di pathos e trasferire i suoi sentimenti in quello che sta recitando. Vi leggerò ora un pezzo di profonda arte drammatica, genialmente scritto e magistralmente interpretato da me…”
Gli elogi per se stesso non finivano mai per quello che egli stesso aveva scritto e letto al pubblico; la signora Belcolle concluse che doveva essere affetto da un forte complesso di superiorità, un superego che si tagliava con il coltello si rivelava anche quando Chris Tapfer rimaneva in silenzio. Assumeva infatti un’espressione sprezzante guardando tutti dall’alto al basso.
Alla fine della conferenza ci fu spazio per le domande e Giacintina chiese quale fosse la strada per raggiungere il successo nel cinema.
“Qui ce lo voglio!” disse fra sé la signora Belcolle.
“La strada migliore per far successo è essere moderni, signorina! È seguire quello che il grande gruppo pensa, mettersi a livello con la gente, usare il frasario alla moda. Solo così ci si rende noti e ci si può aspettare un pubblico numeroso a vedere i nostri film! Io ho sempre avuto successo perché ho saputo schierarmi dalla parte dei più.”
“Ma facendo così non è schiacciare la propria personalità?”
azzardò a dire Giacintina. “No, se si è dei geni, come me. Tante volte un film che non valeva niente acquistò successo perché io ne ero il protagonista.”
“Ma per quelli che non sono geni, almeno in partenza, c’è un modo di trovare la via giusta?”
“Sì, venendo alle mie lezioni. Ho appena cominciato un corso all’Università di Genova. Il corso è aperto a tutti quelli che hanno la licenza di scuola media superiore, dura un anno e rilascia un certificato per accedere alla scuola superiore di recitazione.”
Nonostante il nome straniero l’attore aveva un formidabile accento veneto che contribuiva ad enfatizzare i suoi discorsi.
Inoltre non aveva, agli orecchi della signora Belcolle, una voce gradevole, ma a moltissimi altri piaceva, quindi, meglio per lui. Giacintina era entusiasta di lui e, con dispiacere di sua
madre, si iscrisse al corso a Genova.
Per un intero anno frequentò le lezioni dell’attore diventato professore e quando giunse il tempo delle vacanze ebbe il permesso dei suoi (dopo averli limati un bel po’) di invitare
il professore nella villa di campagna vicino alla Spezia.
“Non vorrei che si ripetesse l’esperienza che abbiamo avuto con Milton, ci è bastata quella!” diceva la signora Belcolle.
Ma Giacintina insisteva che una tale cosa non si sarebbe ripetuta, lei conosceva bene il professore, così pensava lei.
Chris Tapfer venne alla Spezia. La stampa ignorò il suo arrivo e Tapfer fu molto contrariato perché avrebbe voluto essere sulle prime pagine dei giornali. Marina Belcolle si accorse subito che non avrebbero avuto la vita facile.
Giacintina sperava che il grande attore l’avrebbe presentata ad un regista, lui li conosceva tutti e nessuno avrebbe detto di no ad una sua richiesta. Fra questi registi c’era anche la famosa Umberta Strada vincitrice di tre Oscar.
Fra lei e Tapfer c’era più di un’amicizia, i giornali scandalistici li dicevano amanti da vari anni. Lui non si era mai sposato e lei era vedova e molto più avanti negli anni di lui.
Il colloquio che Giacintina attendeva non avvenne.
Tapfer aveva parlato con la sua amica Umberta che a sua volta aveva interpellato qualcuno ma senza successo. Fu proposto a Giacintina un altro colloquio che lei rifiutò perché il regista-produttore faceva dei film pornografici e poi non pagava gli attori da lui scritturati.
Profondamente delusa Giacintina continuava a sopportare il grande attore sperando che quanto prima se ne ritornasse a Genova. Fu felicissima di sentire che avrebbe dovuto
assentarsi anche se, aveva aggiunto, con suo dispiacere – per pochi giorni –.
Doveva escogitare un mezzo per tenerlo alla larga quanto più possibile. Ma non sapeva come fare. Non voleva chiedere consiglio a sua madre perché si ricordava delle sue insistenze per ospitarlo e di conseguenza se ne vergognava.
Stava respirando a pieni polmoni, libera dall’ingombrante presenza, quando ricevette una lettera. Era di Tapfer.

Carissima Giacintina, ho un sogno, I have a dream. La Spezia mi piace tantissimo vorrei stabilirmi nella tua villa di campagna che ti prego di liberare da tutti quei mobili vecchi che a me non piacciono, naturalmente allontana anche i tuoi animali, il cane e i tuoi gatti mi hanno dato abbastanza noia durante il mio soggiorno da voi.
Fai inoltre riempire la piscina, a me non serve e mettimi a disposizione un’auto, io so guidare e non ti darò il disturbo di procurarmi un autista.
Poi, se vorrai, ti propongo di sposarti. Con me a fianco sarai una signora, potrò guidarti, insegnarti a come vivere ed essere una moglie obbediente e devota sempre pronta ad esaudire i miei desideri.
A presto Chris

Questa lettera procurò un grande dolore a Giacintina. Sulle prime decise di non rispondere affatto sperando che l’altro non si facesse vivo. Poi, presa da grande rabbia gli inviò una risposta.

Tapfer,
il tempo dello schiavismo è finito, hai una faccia di bronzo unica al mondo. Dirti che dovresti vergognarti è poco, ho spedito una copia della tua lettera alla signora Umberta, sarà lei che si sottometterà a te, io mai.
Giacintina

Quando ricevette la risposta di Giacintina, Tapfer si comportò di conseguenza: non si fece più vivo con grande consolazione di tutti. È una di quelle persone che si farebbero ammazzare piuttosto che riconoscere di avere torto e di fare figure meschine ostinandosi a mettersi al centro del mondo.
Nessuno al Canaletto ha pianto per la sua assenza.