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I racconti della domenica

Il vaso di Cristallo

di Andrea Derchi - In collaborazione con Edizioni Cinque Terre

Racconti di fine Millennio

A Praga era un marzo molto diverso da quello, gelido e nevoso, che aveva visto il lugubre colpo di mano di Clement Gottwald. Un tiepido sole splendeva sulla collina di Petrin, e su di essa già tentavano di spuntare i primi fiori primaverili.
Mario, giornalista cinquantacinquenne, era per l’ennesima volta in trasferta, per un reportage sulla “Rivoluzione di velluto”, che in poco tempo aveva portato Vaclav Havel dal carcere alla Presidenza.
Camminava sul lungofiume prospiciente il Castello e ne assaporava la vista, per una volta lontana dai consueti, tetri colori da cartolina globalizzata.
L’appuntamento col politico emergente era slittato all’indomani: Mario aveva quindi un po’ di tempo vuoto davanti a sé, fatto così inusitato da renderlo quasi stordito.
Lasciò vagare i suoi pensieri sugli stereotipi che avevano sommerso la città o sulle tante pagine, ora forse dimenticate, che cercavano di spiegare quel mondo e quei misteriosi abitanti. Passando da Kafka a Ripellino, da Neruda a Mozart, i pensieri, come sciami impazziti, finirono alla Via Nerudova, allo storico palazzo della Nostra Ambasciata, mai penetrato dal sole, e alle piccole botteghe artigiane intorno a Sv. Mikulàs. Improvvisamente, con un salto da macchina del tempo, si ritrovò con la mente all’aprile del ’68, ad un reportage ben più famoso e importante, uno dei primi, per Lui, fuori dall’Italia, e uno dei primi dedicati a quell’omino gentile che avrebbe cambiato la storia del suo paese.
Ricordò l’ebbrezza del recente matrimonio, la nitidezza nel percepire a distanza il viso della giovane sposa, il suo esile corpo, i suoi occhi miopi e celesti, di un celeste che, prima, aveva visto solo in qualche quadro degli Uffizi.
Con la moglie era separato ormai da anni, eppure c’era ancora un sentimento forte che li legava. Sentì che doveva svoltare di scatto verso Ponte Carlo, per ritrovare le botteghe; accelerò il passo, il sole si fece più caldo e persino le trentuno statue, insolitamente benevole, sembrarono sorridergli e incoraggiarlo.
Desiderò intensamente la moglie, desiderò intensamente rivederla, desiderò intensamente farle un regalo: e pensò ad un vaso di cristallo.
Gli sembrò in quel momento che solo il cristallo potesse racchiudere tutte le caratteristiche di quella donna dal corpo fragile, che piangeva parlando di sé, che pareva quotidianamente in crisi e coinvolta da tutti gli avvenimenti circostanti, specie se tristi, ma che al tempo stesso risultava intrepida, forte nelle avversità, dolce, generosa, insostituibile. Proprio come il cristallo di Boemia, apparentemente fragilissimo, ma distrutto solo se percosso in un unico, determinato punto.
Aveva ormai superato le celebri Torri, e non vedeva botteghe: c’era solo qualche negozio di souvenir, con tanti vasi di cristallo, ma nessuno che avesse il profumo, la trasparenza e l’originalità di quelli del passato.
Ricordò allora le prime frasi di Havel da Presidente («Apriamoci al commercio privato! Siamo liberi di guadagnare!») e gli sembrarono evocare per contrasto quelle di sua nonna al giardiniere («Perché oltre alle erbacce, tagli anche il mio sottobosco?»). Cominciò a preoccuparsi, dietro ogni angolo temeva di veder spuntare un negozio Nike, altro che folletti di Mala Strana!