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I racconti della domenica

Il matrimonio del professor Antonio Paludato

di Chiara Bodrato

I nuovi racconti spezzini

Il professor Antonio Paludato era stato il mio professore di disegno alle scuole medie inferiori. Era molto severo e i suoi giudizi sui suoi alunni erano duri. Raramente dava un sei ad un disegno, anche se fatto con tutto l’impegno.
I voti, 99 su cento, erano cinque e mezzo e sei meno ed ogni foglio era siglato perché il disegno fatto in classe non fosse sostituito con uno fatto fare da qualcun altro.
Un’intraprendente alunna aveva escogitato un sistema per arrivare all’ambito sei pieno. Si faceva firmare un nuovo foglio dicendo che voleva ricominciare. Si portava a casa l’altro e la volta dopo era in grado di fornire il disegno fatto secondo i gusti del professore.
Quando venne la notizia del suo trasferimento nessuno pianse, anzi ci fu un grande sospiro di sollievo. A sostituirlo venne un pittore di tendenze ultra moderne che trovò i nostri disegni e le nostre pitture ad acquerello degni di ottimi voti, sette ed anche otto. Ci sembrava di sognare.
Il tempo passa veloce e molti anni dopo, quando lavoravo in arsenale, un giorno incontro il professor Paludato che era stato chiamato per una consulenza su un disegno tecnico. Invece di starmene nel mio ufficio a continuare quello che stavo facendo uscii per salutarlo.
“Buon giorno, professore, che piacere vederla! Si ricorda di me?”
Mi guardò accigliato e mi rispose: “Mi ricordo che non sapevi disegnare.” Questa frase, detta davanti a un paio di colleghi, mi ferì. “Non imparerò mai” dissi fra me e me. “Meno male che non gli ho detto di guardare gli acquerelli incorniciati che adornano le pareti dell’ufficio, mi avrebbe demolito ancor più!”
Li guardai, quei modesti acquerelli, ai miei occhi non erano male. Da allora evitai di parlare con lui. Ma lui era sulla cresta dell’onda. Alle elezioni era candidato per il partito degli Onesti+ e tutta la città era tappezzata di manifesti con il suo ritratto.
Non sono mai riuscita a trovare l’indirizzo di quel fotografo, era veramente bravo e io ero tentata di farmi fotografare, non certo per le elezioni politiche ma per le copertine dei miei libri.
Un pomeriggio, camminando sul lungomare delle Grazie, incontrai l’intraprendente alunna che riusciva a snobbare il professore!
“Ma tu, tu sei la Bodrato, vero?”
“Sì, sono io. E tu sei la Marinetti! Sei sempre la solita!”
Cominciammo a parlare e il discorso cadde sul professor Paludato.
“Poveretto” disse la Marinetti “gli hanno fatto il funerale ieri l’altro!”
“Non sapevo che avesse lasciato questo mondo” risposi “comunque ha avuto una lunga vita, 94 anni se non vado errata.”
“Sì, 94 anni e portati bene. Lascia la moglie, vedova inconsolabile.”
“Si era dunque risposato. So che era vedovo. Lo vedevo qualche volta in via Chiodo con una bellissima signora…”
“Quella era la prima moglie, una siciliana tutta fuoco. Anche lei dipingeva.”
“E quando si risposò la seconda volta?”
“Circa dieci anni fa. Pensa che la sua seconda moglie è mia cugina. È una Marinetti, Zefirina Marinetti, figlia del fratello di mio padre.”
“Dove si sono conosciuti?”
“Guarda, è proprio un romanzo d’amore. Mia cugina si innamorò di lui a prima vista. Lo sai che mia cugina affitta due stanze perché il suo appartamento è troppo grande per lei?”
“Sì, l’ho sentito dire.”
“Bene. Il professor Paludato cercava una stanza perché non voleva più vivere solo dopo la visita dei ladri.”
“I ladri erano entrati in casa sua?”
“Sì e gli avevano anche svaligiato le tre stanze piene di opere d’arte di grande valore. Lui era in camera sua e dormiva ma aveva lasciato la luce accesa.”
“E quindi non sono andati in camera sua.”
“Come tu dici, non ci sono andati. Ma al mattino trovò la sorpresa e decise di non abitare più da solo. Fu mia madre a dirgli di andare da mia cugina.”
“E quando arrivò la vide e si innamorò di lei?”
“Fu lei veramente ad innamorarsi di lui. La dichiarazione avvenne in questi termini: vedova lei, vedovo io potremmo anche sposarci.”
“Ma io sono contenta, sono felice!” disse Zefirina al colmo dell’emozione.
“E non l’aveva mai visto prima di allora?”
“No. E non le importava nemmeno l’età: 84 anni.”
“Concludo che l’amore fa fare questo e altro. Sei andata al matrimonio?”
“No. Per la semplice ragione che non mi hanno invitato. Mi hanno dato i confetti e io ho fatto loro un regalo, insieme a mia madre però.”
“Quindi sono stati felicissimi per dieci anni!”
“Felicissimi. Zefirina è stata un buon freno per il professore che spendeva volentieri mentre lei risparmiava volentieri. Era riuscita a far portare le camicie con le toppe all’ex elegantone di suo marito!”
“Mi ricordo di aver sentito parlare di quel famoso piatto di gnocchi!”
“Lo sai anche tu? Si, Zefirina, pur di non gettare via niente gli mise davanti gli gnocchi per tre giorni!”
“Riuscì a farglieli mangiare?”
“No. Fu una delle rare volte in cui litigarono.”
“Doveva essere ricco il professor Paludato, in quasi tutte le case in cui vado ci sono i suoi quadri e poi faceva una mostra dopo l’altra e vendeva a tutto spiano.”
“Era ricchissimo. Il suo studio è ancora pieno di capolavori e dipinti non finiti. Vuoi vederlo? Io ho le chiavi, me le ha date Zefirina in caso che qualcuno volesse comprare le opere di suo marito. Comunque non ti dico di venire perché voglio venderti qualcosa… anche se volessi, con i ricordi che abbiamo di lui…”
“Bastano quelli per farci scappare la voglia di comprare! Vengo volentieri. Dov’è il suo studio?”
“In Viale Italia nel palazzo vicino alla Questura. Ci sono tutte le mattine dalle dieci a mezzogiorno.”
Promisi di andarci. Mi interessava vedere lo studio del professore e quelle cose delle quali si era circondato. Ci andai l’indomani. Lo studio era grandissimo pieno di libri di letteratura russa dell’ottocento e di oggetti curiosi fra i quali un samovar gigantesco. Vicino alla parete con le finestre c’era una cassa che sembrava chiusa a chiave.
“Mi incuriosisce quella cassa. Non l’avevo vista prima. Strano che sia chiusa a chiave…” disse la Marinetti dopo aver tentato di sollevare il coperchio. Dopo vari tentativi, trovata la chiave giusta, riuscì ad aprirla. Dentro c’erano una ventina di acquerelli, erano tutti ritratti della stessa donna. Poi c’erano pacchi di lettere, non spedite, legate con un nastro rosso.
“Quella donna la conosco! Solo che non riesco a ricordare dove l’ho vista!”
“A scuola, l’abbiamo vista, è lei, la professoressa di matematica, la bella Caterina di Catania! Ti ricordi che la chiamavamo la bella catanese?”
“Sì, ora che lo dici, me la ricordo, è proprio lei. Aveva il debole per le siciliane il professor Paludato! Forse le lettere sono state scritte per lei.”
“Vediamo. Si, sono state scritte per lei. Non le ha mai spedite.”
“Non era corrisposto. Fa vedere che data hanno. Tanto tempo fa… al tempo della scuola…”
Intanto la Marinetti leggeva le lettere con attenzione e così pure io. Il professore non era infatti corrisposto nei suoi sentimenti e si teneva le lettere nello studio. In una scriveva che non aveva mai amato nessuna donna come lei e che non l’avrebbe mai dimenticata, per tutta la vita.
“Sai Bodrato cosa faccio? Porto via tutte le lettere e i ritratti. Non voglio che Zefirina veda infranto il suo sogno di essere stata lei l’unica donna nella vita del professore.”
Non potevo darle torto.