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I racconti della domenica

Il Giro d’Italia

di Marcello Albani

I racconti della Sprugola

Il Giro era lo zènit d’ogni sentimento, era esaltazione, era smarrimento, era furore. Era tutto. insomma proprio tutto.
La sera, alla radiocronaca dell’arrivo, non c’erano autorità di padre, di madre, di moglie, di prete, di capocellula che ti strappassero da quell’altoparlante mica stereofonico, che gracchiava la nuova classifica ed i minuti di distacco.
I ragazzi, e non solo loro, non si distinguevano più in belli o brutti, asini o saccenti, biondi o mori, signorini o merdaioli, semplicemente erano Coppisti o Bartaliani.
Pochi, stranamente, pompavano per Magni.
Impazzava, di conseguenza, il gioco del Giro.
Sul terreno, accuratamente spianato, tracciavamo, con gli spezzoni di tavole che abbondavano nelle macerie delle case bombardate, una lunga e tortuosa pista che si guarniva con montagnole di terra – le Dolomiti – e le buche con l’acqua – i pantani della pioggia. Nelle curve più secche modellavamo muretti di argilla, a similitudine dei covoni di paglia della corsa vera.
Poi preparavamo i girini con i tappini delle bibite, le limonette. Alcuni preferivano quelli della birra; altri, dalle dita più minute, quelli dei crodini.
Si lisciavano sul fondo, per ridurre l’attrito, e si appesantivano con lo stucco da vetri ove s’inseriva la figurina del proprio campione, numerata con la matita copiativa.
In ultimo i premi: tante figurine per il gran premio della montagna, tante per la tappa, un bel pacchetto legato con l’elastico per il vincitore del Giro, di otto, dieci tappe.
Allineate le limonette sulla riga di partenza… il primo a partire liberava il medio dal pollice, la limonetta schizzava via… e il plotone si sgranava.
Il nostro campione, Coppista, era molto bravo nel gestire la corsa e sorpassare senza urtare, per non retrocedere, ma anche gli altri corridori non se la cavavano poi male.
Quella volta era in testa, mancavano un paio di tiri al gran premio della montagna quando la sua mamma, che doveva andare a lavorare, spalancò la finestra e gli urlò de venìe a mangiàe.
“Un attimo, aspetta solo un attimo” e lei aspettò solo un attimo, circa dieci secondi, per riaprire la ciabatta.
“Veeeengo, fammi finire l’ultimo tiro.” Supplicò lui.
“Acidenti a te, bruto bastardo, se ne te vèn sù a te dò n’ sàco de bòte”.
Il caca tirò allora il colpo decisivo ma, pressato dalla fretta, male dosò la forza e la limonetta, scollinate le Dolomiti, malamente s’infranse fuori pista; così come il sogno di vittoria della cronoscalata e le conseguenti cinque figurine.
Guardò in alto, verso la finestra ove mami si era riaffacciata, vide la bocca spalancata in tutti i quarantotto denti, ove stava uscendo nuovo suono siccome la sirena del Titanic, e allora la mano corse alla pianta di pomodoro che rasentava la pista, afferrò un succoso sanmarzano a perfetta maturazione e lo scagliò verso la fonte dei suoi guai, più per rabbia che per malvagità.
Purtroppo l’infallibile mira ebbe la meglio e la poverina colpita – seppur indenne – in piena fronte, si azzittì ed affondò di poppa sul pavimento dietro al davanzale, colante salsa come un passatutto.
Quel che successe dopo, come già detto, è un altro film.