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I racconti della domenica

I falò del Battista

di Marcello Albani

I racconti della Sprugola

Non conoscevo, e non m’incuriosiva più di tanto, il nesso tra la natività del Battista ed i falò che si allestivano, a fine giugno, a Migliarina e al Canaletto.
Conoscevo bene, invece, la febbre incendiaria che ci assaliva giorni prima.
Ogni altra impresa veniva abbandonata e s’iniziava a razziare il territorio alla ricerca di legname da accatastare sulla pira. Tutto ciò che bruciava andava bene; più ambite erano le cassette della frutta, che facevano gran volume e fiamme altissime.
Il lattaio ci prestava il suo triciclo e con quello battevamo quel paio di negozietti di commestibili, le officinette, gli stambugi e qualche casa per recuperare un mobile sgangherato di cui voleva disfarsi qualcuno colpito da improvviso benessere.
Si tagliavano canneti e cespugli ed il tutto s’impilava, scartando via l’erba e le frasche.
Infine, con un vecchio vestito scuro riempito di paglia, camicia e cravattino – roba da vedove – e un paio di scarpe lucide, anche se da risuolare, si preparava Battiston e lo si issava in cima al palo, come Savonarola.
Noi di Baceo, che formavamo associazione d’impresa con la rinomata Trattoria “La Rosa” disponevamo di grandi spazi, abbastanza discosti dalle case, e la grande catasta suscitava grande invidia. Allora, per evitare che qualche bastardo tentasse di darle fuoco anzitempo, organizzavamo, come i ragazzi della Via Paal, il comitato di difesa pronto a fare a ciaponàte.
Quella sera si cenava prestissimo, un boccone mezzo di traverso e via ad attendere che il chiaro se n’andasse e, con i primi fiocchi di buio, la smania incrementasse i vari tic.
Davamo fuoco tutti assieme, con un pezzo di giornale accartocciato e gli zolfanelli aspetta un po’ che ti facevano arricciare il naso.
Quindi… il parossismo che ne seguiva non faceva più per me.
Quelle fiamme, che s’innalzavano con una velocità impressionante ad illuminare le facciate delle case e ad incupire le orbite vuote delle finestre; i volti deformati e stralunati di quelli che, come gli indiani, danzavano intorno al fuoco; le espressioni tese dei grandi che si rilassavano solo a fuochi bassi, m’iniettavano un tristezza opaca.
E l’applauso che scoppiava spontaneo quando le fiamme lambivano Battiston – anche quell’anno galantuomo – e sotto al suo borsalino esplodevano i mortaretti, mi liberava da quella angoscia dell’effimero che mi avevano infuso quei bagliori, così feroci ad innalzarsi ed altrettanto melanconici nel calar di tono.
Frattanto il calore accumulato si sentiva e… lentamente… ti scostavi.