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Cronaca

La meraviglia è anche sotto, ecco i coralli bianchi scoperti a Punta Mesco

Scoperti a 560 metri di profondità dall'Enea e dalla Marina Militare. Una scoperta avvenuta grazie all'impiego di nuove tecnologie. I ricercatori: "Un habitat delicato da proteggere".

Coralli bianchi

Le prime segnalazioni risalgono addirittura agli anni Sessanta, ma la vera scoperta è di soli dieci giorni fa. Nel nostro mare, precisamente nei fondali davanti a Punta Mesco, a 560 metri di profondità, sono stati trovati dei coralli bianchi vivi. Un ritrovamento frutto della campagna oceanografica condotta dai ricercatori del centro ricerche ambiente marino dell’Enea di Santa Teresa in sinergia con la Marina Militare, indispensabile ai fini dell’individuazione di questi preziosi fiori animali, avvenuta in tre distinte fasi.
“Il lavoro è iniziato a ottobre dello scorso anno – dichiara Ivana Del Bono, geologa marina, nonché ricercatrice dell’Enea – e i nuovi sistemi di rilievo di dettaglio hanno permesso uno studio sviscerato del fondale, cosa che non era possibile anni addietro. Sulla base di una conoscenza approfondita dei fondali marini siamo quindi riusciti a constatare la presenza di questi coralli bianchi, già segnalati cinquant’anni fa. Ed è solo grazie alla strumentazione avanzata se abbiamo successivamente individuato le morfologie in modo preciso, e questo si è tradotto appunto nella scoperta dei coralli”.

“Le indagini sono state svolte dai 400 ai 600 metri di profondità – prosegue – e la prima scoperta, fatta meno di due settimane fa, è stata fatta esattamente a 560 metri di profondità, nel fondale davanti a Punta Mesco”. Oltre ad aggiornare la distribuzione dei coralli bianchi nei mari italiani, questo ritrovamento offre un punto di partenza per ulteriori indagini nell’area, dove sono state segnalate altre formazioni madreporiche, e pone le basi per l’identificazione di appropriate misure di salvaguardia di questi ecosistemi di elevata biodiversità, anche se molto vulnerabili.
I coralli bianchi possono essere paragonati a delle vere e proprie oasi nel deserto, in quanto offrono riparo e alimentazione a molte specie. Si è infatti stimato che la barriera corallina di questi organismi marini bianchi ospitino una diversità biologica tre volte più elevata di quella dell’ambiente circostante. “Questi coralli sono importantissimi perché ci troviamo su dei fondi prevalentemente caratterizzati dal fango – dice Emanuela Fanelli, biologa marina e ricercatrice dell’Enea – paragonabili a deserti marini. Perciò queste strutture tridimensionali offrono riparo a molte specie e sono anche ottime zone di riproduzione. Nelle agende europee, per esempio nella direttiva habitat, sono considerati come habitat reef ovvero zone da proteggere. Nella strategia marina europea – prosegue -, dove ovviamente rientra anche l’Italia, è prevista la mappatura e la conservazione di questi habitat”.

La presenza di questo corallo è diffusa sia in tutto il Mar Mediterrano, che nell’Oceano Atlantico, però la peculiarità del Mediterraneo, e in particolare del Mar Ligure, è che essendo un mare più caldo permette a questi organismi di vivere in fondali decisamente più profondi e questo in qualche modo li rende meno esposti a determinati rischi. Nei fiordi norvegesi, così come in tutto l’Atlantico, si possono trovare anche a 80 metri di profondità.
“Nonostante questo – prosegue la dottoressa Fanelli -, l’ambiente è comunque vulnerabile, perché le minacce della pesca a strascico o con palamito possono infierire anche su fondali molto profondi. Non dobbiamo dimenticare che la velocità di crescita dei coralli è molto ridotta, parliamo di pochi millimetri fino a un massimo di un centimetro all’anno, quindi l’impatto di una rete su un corallo danneggia un animale che può avere oltre 200 anni di vita”, conclude.

L’attività di ricerca è stata condotta a bordo della nave “Leonardo”, unità polivalente di ricerca costiera della Marina Militare, con l’impiego di un veicolo “Pegaso” del gruppo operativo del comando subacquei e incursori. ENEA e Marina Militare hanno collaborato al progetto di ricerca che si è avviato grazie alla preziosa collaborazione con l’Istituto Idrografico della Marina Militare e l’eccellente contributo del suo personale tecnico e scientifico. Durante questa fase le prospezioni geofisiche sono state svolte a bordo delle navi idrografiche “Magnaghi” e “Aretusa” e le indagini sono state dirette con ROV “Pluto Gigas”  – in dotazione al cacciamine “Milazzo” del Comando delle Forze di Contromisure Mine della Marina Militare –  che ha permesso di identificare l’area dove sono stati rinvenuti i banchi di corallo bianco.

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