LA REDAZIONE
Scrivici
PUBBLICITÀ
Richiedi contatto
Humans of cinque terre

Il canto, Monterosso e una vita in Giappone

La storia di questa settimana è quella di Guido, tenore monterossino catapultato in estremo oriente: aspettando di poter riabbracciare la sua famiglia, ha girato l'Italia per fare un punto con i colleghi nel difficile momento che vive la cultura.

Guido, tenore da Monterosso

Nella vita, canto. Suona bene, anche da dire. Sono un tenore, sono nato a Monterosso ma ho vissuto in Giappone negli ultimi quattro anni. Sono rientrato in Italia a febbraio, e da allora non sono più potuto ritornare in Asia. Inoltre, sono senza contratto dal lockdown: tutti i concerti in Giappone sono saltati, e quelli in Italia pure.
Per un paio di mesi non sapevo bene cosa fare, il resto della mia famiglia, mia moglie e le mie due figlie sono ancora in Giappone. Poi qualche settimana fa mi sono alzato e ho pensato: perché non vado a fare un giro a trovare tutti i miei amici cantanti, ma non solo, anche altri musicisti, per fare una sorta di stato dell’arte, letteralmente, della situazione musicale italiana? Ed eccomi qui. Qualche giorno dopo ero in concessionaria a comprare questa 500 cabrio usata. Ha 50.000 chilometri, è tenuta bene, ma se ho potuto permettermela è anche grazie ai contributi dei commercianti di Monterosso, e al fatto che il Comune mi ha nominato ambasciatore della Cultura.

È un’idea che è nata all’improvviso, e così com’è nata sono partito, subito. Sono molti gli amici che mi hanno dato una mano, anche a comunicare. Nel mio girovagare, ho deciso di includere anche la mia seconda passione, il cibo. Quindi quello che ho fatto è un tour eno-cultu-gastronomico. Il mio viaggio è finito l’11 agosto, poche ore prima che rientri la mia famiglia dal Giappone. Non li vedo da sei mesi, questo è anche un modo per non pensare a quanto mi mancano.
Ho conosciuto mia moglie all’accademia di Osimo, è un soprano, ed è giapponese. Là, l’ammirazione per la musica classica è su un piano diverso rispetto al resto del mondo. È quasi un culto.
Sono partito per il Giappone nel 2015, mi avevano offerto un lavoro all’Università. Ho vissuto a Chiba, una città relativamente piccola, della dimensione di una Torino. Ho passato quattro anni straordinari: tutti sono stati con me estremamente gentili, oltre ogni stereotipo.

Quando insegnavo lì all’inizio ero un po’ burbero, già per gli standard italiani, figurati in Giappone: ho fatto piangere un po’ di studentesse nei primi mesi. Per me era importante essere sincero, ma loro non sono certo abituati alla schiettezza, c’è tutto un rituale di non-detti, è il regno dell’implicito. Mi sono poi reso conto di quanto fosse importante per loro il mio parere, e di quanto dovessi essere quindi delicato e presente nel fornirglielo.
Quando sono partito a febbraio non ero certo di ritrasferirmi in Italia. Ora sì. Nonostante il lockdown, mi sono ricordato di cosa vuol dire la vita qui, della bellezza, della semplicità. Stare lontani da casa è estremamente formativo, ma anche estenuante, nel lungo periodo.

Tipo: come sei venuto qui? Ecco, in treno, bene. Che casino c’era? Prendere un treno alle Cinque Terre è un’esperienza da souq, tutti che urlano, si lamentano, si meravigliano degli scorci, poi ora con le mascherine, le maschere, i detergenti, il sudore. In Giappone è un’esperienza mistica, anche se ti schiacciano dentro il vagone a spintoni e sei uno sopra all’altro c’è un silenzio spaesante.
Del Giappone mi manca e mi mancherà l’affetto degli amici e dei fan. Ah, e il ramen. Qui è introvabile, ogni tanto lo faccio io a casa. Quando succede c’è la coda di amici da tutto il paese sotto casa mia. La prossima volta te lo dico, vieni anche tu, ma prendi il treno la sera, ché è più tranquillo.

Guido dialoga con Filippo Lubrano
Per approfondire su Instagram clicca qui.

Più informazioni